ANIMALI

Giorgio Celli, Il "suicidio" del cane abbandonato – LASTAMPA.it

Qualcuno mi ha chiesto se, per caso, non si sia trattato di un vero e proprio gesto suicida. Come etologo, penso proprio di no. È più facile immaginare un infelice tentativo di evasione, malaccorto quanto altri mai. Lo sventurato dogo doveva aver scelto la libertà ad ogni costo. Tuttavia, se non si tratta di suicidio, di questo gesto penso che debba aver condiviso la disperazione che lo ispira. Il cane era di certo disperato e sotto stress.

In primo luogo, perché l’animale ha ereditato dai suoi avi, i lupi, la necessità fisiologica di vivere in branco, e la famiglia che l’ospita costituisce per il cane il sostituto del gruppo delle origini.

In assenza del quale il nostro dogo argentino ha dovuto soffrire di un nero senso di solitudine, culminata nello stress. In secondo luogo, il cane ha necessità di muoversi. Correre a perdifiato in un campo costituisce per il cane la suprema felicità. Ora, un balcone è molto più simile alla gabbia di uno zoo, per di più sospeso in aria. Dopo qualche giorno, la solitudine e il disagio della claustrazione devono essere diventati per il povero prigioniero di quella sorta di cella di isolamento del tutto intollerabili, e il cane deve aver deciso che o la va o la spacca. Per tutti questi motivi, penso che per i proprietari di quel povero animale si possa configurare il reato di maltrattamento grave che, come si sa costituisce attualmente un reato penale.

Il “suicidio” del cane abbandonato – LASTAMPA.it

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