Agave

l’ AGAVE, in un pomeriggio di tardo autunno

Agave

AGAVE, di Primo Levi, in Ad ora incerta, Garzanti, 1984

Non sono utile né bella,

Non ho colori lieti né profumi;

Le mie radici rodono il cemento,

E le mie foglie, marginate di spine,

Mi fanno guardia, acute come spade.

Sono muta. Parlo solo il mio linguaggio di pianta,

Difficile a capire per te uomo.

E’ un linguaggio desueto,

Esotico, poiché vengo di lontano,

Da un paese crudele

Pieno di vento, veleni e vulcani.

Ho aspettato molti anni prima di esprimere

Questo mio fiore altissimo e disperato,

Brutto, legnoso, rigido, ma teso al cielo.

E’ il nostro modo di gridare che

Morrò domani. Mi hai capito adesso?

DSCN2548 (FILEminimizer)DSCN2549 (FILEminimizer)DSCN2550 (FILEminimizer)DSCN2551 (FILEminimizer)DSCN2552 (FILEminimizer)DSCN2553 (FILEminimizer)DSCN2554 (FILEminimizer)DSCN2555 (FILEminimizer)

Agave

l’ AGAVE, in Marco Di Domenico, Clandestini. Animali e piante senza permesso di soggiorno, Bollati Boringhieri, 2008, p. 35-37

Poche piante danno un’idea di potenza, di vigore, quasi di im­mortalità quanto l’agave. Anche le più vecchie querce, i castagni millenari, i pini secolari, sembra siano vivi per una specie di mira­colo e sulla corteccia screpolata, sui rami contorti e irregolari, sulle foglie destinate comunque a cadere, portano i segni della vecchiaia e della morte.

L’agave no. La pianta è acaule, ovvero priva di fusto, ed è formata da una «rosetta» di circa 30 foglie, con le più vecchie che solo dopo anni seccano e si accartocciano. Le foglie partono di­rettamente dal terreno, dal centro della rosetta, sono carnose e lun­ghe fino a tre metri, grigio-verdi, lineate di giallo in certe varietà, lisce e vellutate ma durissime e orlate da minacciose spine scure che sembrano denti di squalo; hanno perfetta sezione triangolare e apice acuto terminante in un mucrone, una grande spina appuntita come un pugnale. L’interno della rosetta è irraggiungibile, difeso com’è dalle foglie armate di denti e pugnali, perfetto nella sua geometria regolare, quasi metafisica.

Ecco, l’agave è una pianta metafisica. Un clandestino metafisico. Originaria del Messico, l’Agave americana (famiglia Agavacee), fu importata dagli spagnoli dopo la conquista del paese centroamericano e coltivata nei giardini di mezza Europa, forse già a partire dalla metà del XVI secolo. Robusta, resistente alle più avverse condizioni climatiche ma non alle basse temperature, capace di crescere ovunque, persino in vasi ristretti, si è presto libe­rata, diffondendosi in tutto il Mediterraneo e in gran parte delle aree temperato-calde della terra. In Italia è presente quasi ovunque, con l’eccezione delle regioni senza sbocco al mare: Val d’Aosta, Pie­monte, Trentino Alto-Adige e Umbria (in Lombardia si giova dell’ef­fetto mitigante dei grandi laghi alpini). Cresce bene tanto sui terreni rocciosi che sulle spiagge sabbiose. Spesso si accompagna al fico d’india, con cui condivide l’origine e l’enorme adattabilità.

L’a­gave vive fino a ventanni. Quando è matura inizia a produrre ai lati della rosetta piantine figlie, che emettono radici e si affranca­no dalla pianta madre. È il segnale che il ciclo si sta per compiere, che la morte, anche per l’agave, sta arrivando.

Ma non è una mor­te come le altre. Nell’ultimo anno di vita l’agave compie uno sfor­zo che ha dell’incredibile. Dal centro della rosetta inizia a compa­rire a primavera un’infiorescenza che cresce rapidissima fino ad arrivare a 20 cm di diametro 6405 metri d’altezza; qualche volta, pare, addirittura fino a 12, come un palazzo di 4 piani. Sembra un gigantesco asparago, che poi sviluppa rami laterali portanti ognuno numerosi fiori giallo-verdastri. All’inizio dell’estate l’infiorescenza è completa e l’agave raggiunge il massimo della sua bellezza. Sicco­me le piante vicine sono spesso sorelle, figlie della stessa pianta madre, la fioritura è quasi sempre simultanea e decine di enormi infiorescenze dominano il paesaggio anche da lontano.

Poi l’infio­rescenza si secca, improvvisamente come è cresciuta, e la magnifi­ca agave, perfetta, armata e invincibile, muore improvvisamente, svuotata di ogni energia.

Le piantine figlie però si accrescono velo­cemente e il ciclo ricomincia. Tra 15 o 20 anni ci sarà un’altra incre­dibile fioritura …

In Marco Di Domenico, Clandestini. Animali e piante senza permesso di soggiorno, Bollati Boringhieri, 2008, p. 35-37

 

 

 


 


 


 

Agave

La commovente storia di Agave


Poche piante danno un’idea di potenza, di vigore, quasi di immortalità quanto l’agave. Anche le più vecchie querce, i castagni millenari, i pini secolari, sembra siano vivi per una specie di miracolo e sulla corteccia screpolata, sui rami contorti e irregolari, sulle foglie destinate comunque a cadere, portano i segni della vecchiaia e della morte.

L’agave no. La pianta è acaule, ovvero priva di fusto, ed è formata da una «rosetta» di circa 30 foglie, con le più vecchie che solo dopo anni seccano e si accartocciano. Le foglie partono direttamente dal terreno, dal centro della rosetta, sono carnose e lunghe fino a tre metri, grigio-verdi, lineate di giallo in certe varietà, lisce e vellutate ma durissime e orlate da minacciose spine scure che sembrano denti di squalo; hanno perfetta sezione triangolare e apice acuto terminante in un mucrone, una grande spina appuntita come un pugnale. L’interno della rosetta è irraggiungibile, difeso com’è dalle foglie armate di denti e pugnali, perfetto nella sua geometria regolare, quasi metafisica.

Ecco, l’agave è una pianta metafisica. Un clandestino metafisico. Originaria del Messicol’Agave americana (famiglia Agavacee), fu importata dagli spagnoli dopo la conquista del paese centroamericano e coltivata nei giardini di mezza Europa, forse già a partire dalla metà del XVI secolo.

Robusta, resistente alle più avverse condizioni climatiche ma non alle basse temperature, capace di crescere ovunque, persino in vasi ristretti, si è presto liberata, diffondendosi in tutto il Mediterraneo e in gran parte delle aree temperato-calde della terra. In Italia è presente quasi ovunque, con l’eccezione delle regioni senza sbocco al mare: Val d’Aosta, Piemonte, Trentino Alto-Adige e Umbria (in Lombardia si giova dell’effetto mitigante dei grandi laghi alpini). Cresce bene tanto sui terreni rocciosi che sulle spiagge sabbiose. Spesso si accompagna al fico d’india, con cui condivide l’origine e l’enorme adattabilità.

L’agave vive fino a ventanni. Quando è matura inizia a produrre ai lati della rosetta piantine figlie, che emettono radici e si affrancano dalla pianta madre. È il segnale che il ciclo si sta per compiere, che la morte, anche per l’agave, sta arrivando. 

Ma non è una morte come le altre. Nell’ultimo anno di vita l’agave compie uno sforzo che ha dell’incredibile. Dal centro della rosetta inizia a comparire a primavera un’infiorescenza che cresce rapidissima fino ad arrivare a 20 cm di diametro e 4 o 5 metri d’altezza; qualche volta, pare, addirittura fino a 12, come un palazzo di 4 piani. Sembra un gigantesco asparago, che poi sviluppa rami laterali portanti ognuno numerosi fiori giallo-verdastri. All’inizio dell’estate l’infiorescenza è completa e l’agave raggiunge il massimo della sua bellezza. Siccome le piante vicine sono spesso sorelle, figlie della stessa pianta madre, la fioritura è quasi sempre simultanea e decine di enormi infiorescenze dominano il paesaggio anche da lontano. Poi l’infiorescenza si secca, improvvisamente come è cresciuta, e la magnifica agave, perfetta, armata e invincibile, muore improvvisamente, svuotata di ogni energia.
Le piantine figlie però si accrescono velocemente e il ciclo ricomincia. Tra 15 o 20 anni ci sarà un’altra incredibile fioritura …

In Marco Di Domenico, Clandestini. Animali e piante senza permesso di soggiorno, Bollati Boringhieri, 2008, p. 35-37

Le fotografie sono di Luciana