olfatto · Sensi

Fragranze

… correvamo a testa bassa senza perdere il controllo col terreno

aiutandoci con le mani e col naso a trovare la strada,

e tutto quello che dovevamo capire lo capivamo col naso prima che con gli occhi,

il mammuth il porcospino la cipolla la siccità la pioggia

sono per prima cosa odori che si staccano dagli altri odori,

il cibo il non cibo il nostro il nemico la caverna il pericolo,

tutto lo si sente prima col naso, tutto è nel naso,

il mondo è il naso …


Il nome, il naso in: Italo Calvino,1986, Sotto il sole giaguaro, Garzanti

Lungo il margine del sentiero che conduce all’orto, quello stesso dove la primavera si annuncia col colore giallo , ora che i bulbi nel buio tepore della terra riposano in silenziosa attesa, tutto, ora, è nel naso, quasi prima che negli occhi.

L’umido della terra che evapora sotto i raggi del sole trascina con sé zefiri profumati, distillati di fragranze densi e robusti.

In quello stretto lembo di terra hanno infatti trovato collocazione, senza una precisa intenzionalità, gli unici tipi di arbusto che prediligono lo sviluppo ricadente, piuttosto che l’allargamento a cespuglio.

L’esposizione solare, inoltre, lo ha designato come luogo propizio per la crescita delle rose, quelle ad alberello, scelte affinchè l’ingombro non fosse d’intralcio al passante.

Nella stagione estiva, dunque, lì nei dintorni, le nari si impregnano di intensi aromi e gli occhi si riempiono dei variegati colori.

Salvie, rosmarini, lavande si affacciano al bordo del pietroso muretto, abbandonando i lunghi bracci verso il sentiero sottostante, mentre le rose si slanciano verso il cielo, schiudendo pigramente i carnosi petali.

Di nuovo torna il colore viola, cui si accompagnano il rosso, il giallo, il bianco, l’arancio, il rosa dell’omonimo fiore.

Il profumo è sospeso nell’aria, ma per esso l’etere ancora non ci aiuta …

 

—> Fragranze in foto <—

 

Colori · Giardini del lago di Como

Il COLORE BIANCO, racconto di Luciana

 

 

C’è un negozio nel centro della mia città che non manca mai di provocare una sosta.
Si tratta di due vetrine arredate con straordinaria eleganza: madie, credenze, vecchi tavoli in legno massello, bagnafiori e secchi di ghisa in svariate fogge, trasparenti vasi globosi. Appoggiati con casualità studiata spiccano ovunque composizioni e mazzi di fiori.
Ogni volta, dopo silenziosi attimi di sguardo, mi dico: “Ecco … vorrei portarlo via tutto così com’è”.
Poi un giorno ho compreso la magia del mio incantamento. L’arredo floreale è monocromatico.
Bianco, rigorosamente bianco.
Immaginate le fioriture tipiche di ogni stagione (tulipani, glicini, rose, ortensie, gerani, dalie, gladioli, crisantemi) nell’unica, candida tonalità. Lattei fiori intrecciati in nastri di rafia se essiccati, o immersi in recipienti oramai in disuso, avvolti in un’atmosfera che sa di antico, di tempi passati.
Nel vano centrale del negozio, su un massiccio tavolo fa bella mostra di sé una grande gabbia di legno dove cinguettano cinque canarini, bianchi anch’essi.
Amo i colori, ma per me il bianco, riferito ad animali e fiori, rasenta l’estasi.
Per questo, anno dopo anno, nel nostro giardino abbiamo inserito cespugli, arbusti, bulbi e piante dalla nivea fioritura, ma, a parte gli alberi da frutto, abbiamo scoperto che il bianco è un colore delicato, facilmente aggredibile da fattori climatici avversi e, ancor più, da famiglie di insetti “biancofagi”.
Nonostante tutto, in vent’anni qualche risultato l’abbiamo ottenuto. Sono angoli “dedicati”, da ricercare in anfratti al riparo della luce, ma che pure, nel giusto periodo dell’anno, riflettono il loro splendore.
Sono di questi mesi la seduttiva calla, il timido mughetto, la tenera margherita, il giocoso opulos palla di neve, la fragile azalea, la sarmentosa hydrangea, il profumato gelsomino, l’elegante gardenia, l’ornamentale rosa, il precario soffione, l’inebriante zagara.
Eccoli in questo “White Tribute”:

La fotografia della Civetta delle Nevi è stata scattata durante una visita ai rapaci di Sergio

In connessione a:

 

 

da: Il colore bianco | Tracce e Sentieri.

Camelia invernale e Camelia Sasanqua · Colori · Giardini del lago di Como

Il COLORE VIOLA, racconto di Luciana

 


Ho appreso nei miei primi rudimenti dell’arte della pittura che il rosso carminio unito al blu ciano origina il viola. Utilizzare solo i 5 colori di base è l’esortazione indispensabile allo sprovveduto principiante per prendere confidenza con i cromatismi delle tonalità e delle sfumature dei colori derivati.


Ma  poter rendere omaggio in prima persona alle macchie di colore che nel mio giardino esplodono è obiettivo ben presto fallito. Sì, perché per quanto sprema tubetti e mi dia da fare nel mescolamento delle molli paste, nulla è vicino a ciò che la natura spontaneamente mi offre. E così ammiro beata, spostando lo sguardo dalla mia tavolozza di plastica a quella genuina della mia vegetazione.
E’ il momento delle gradazioni dal rosa al viola.

Per essere sinceri, già quando ero immerso nella sinfonia del giallo, SASSIFRAGHE e COTOGNO GIAPPONESE davano mostra di sé. Ma erano una cosiddetta minoranza relativa.


Ora che il giallo si è spento, con maggior audacia, di settimana in settimana puntuali si presentano all’appello le varie generazioni del rosso-blu.

Per la prima volta il giovane LILLA’ espone le sue infiorescenze, dimostrando energia e vitalità nonostante la sua ancora bassa statura.


Non manca mai di impressionarmi la lotta delle
CAMELIE screziate e delle giganti PEONIE contro lo scorrere del tempo. Sono entrambi fiori grandi, gonfi, turgidi. Forse la natura si è un po’ presa gioco di loro, affidandoli ad un sostegno troppo esile per la loro pezzatura.

Il fatto è che crollano a terra con una velocità spietata: le CAMELIE, tutte intere, sembra scelgano un letto più comodo su cui coricarsi; le PEONIE, invece, “spetalano” con  aria depressa, deluse dallo scarso riconoscimento prestato al lavorio di un anno delle loro pazienti gemme.


Noncurante delle pene inflitte agli eleganti cespugli che, inermi, depositano al suolo la loro parte migliore, il ROSMARINO REPENS getta le sue code dal balcone sovrastante, fra la lavanda e la salvia che lo ammirano composte. Le sue chiome sono inghirlandate da una moltitudine di minuscoli fiori violetti, gioia e nutrimento per i ghiotti lepidotteri ed imenotteri avventori.


Altrettanto viola, ma più aristocratici, gli
IRIS mantengono uno sguardo vigile e apprensivo, poiché anche quest’anno non capiscono come può accadere che vento e acqua tipici di questo mese possano sciupare così velocemente il loro fragile manto.

Ma il vero tocco d’artista se lo riservano, in contemporanea, AZALEE eGLICINE.

Il gruppo rosso-arancio vicino alla panca si allarga sempre di più e inizia a reclamare la seduta sui sedili di legno, in  speranzosa attesa sotto la
cerata blu che li ha riparati dall’umido clima invernale.



A pioggia, lunghi grappoli profumatissimi scendono dal cielo, inebriando l’aria di un delicato effluvio. E’ il GLICINE, che baldanzoso tenta di avvitare le fluttuanti estremità dei rami ai primi appigli che trova, quasi avesse l’intenzione di raggiungere il poco distante gelsomino, che fra un mese gli darà il cambio nella profumazione dell’aria quasi estiva.

Vicino alla forsithia, un po’ più insignificante ora che il giallo ha cessato di ricoprirla, si scorge una distesa violacea. Sono le AZALEE sorelle maggiori, il primo tentativo di rendere più colorato quei nove gradini che erano al mio giungere dal corridoio delle viti.

In principio erano due macchie di colore violaceo e bianco. Un inverno più freddo del solito ha però impedito all’azalea bianca, delicata e cagionevole, di continuare la sua esistenza. Al suo posto (ammetto un po’ osé per accostamento) c’è ora un’AZALEA MOLLIS arancione. La annovero comunque, nonostante la gamma del colore non sia quella qui considerata.

Osservo sempre con scetticismo la seconda pianta di GLICINE che ricopre la pergola del terrazzo sopra il pontile.

Diversamente dall’altra ha un colore più intenso e il fogliame viaggia in parallelo con la comparsa del grappolo fiorito. Per cui ogni anno mormoro fra me e me che la fioritura è scarsa. Eppure so che per godere di quella odorosa cascata, non bisogna guardare dall’alto, ma andarci proprio sotto e alzare gli occhi.


Spazio anche alle foglie. Di aprile rispuntano le foglie purpuree a cinque lobi dell’ACERO CANADESE, lassù, vicino al noce, e dell’ACERO GIAPPONESE che con il suo largo ombrello ripara gli ultimi tulipani.


Dopo la rapida fioritura marzolina, al
PRUNO DA FIORE è rimasto il bel fogliame rosso cupo e, a cercarli con attenzione, piccoli frutticini tinti di porpora, deliziose leccornie per gli amici alati che da quelle parti hanno capito esserci un generoso banchetto.


E così, quando l’occhio ricade sulle mie prove colore, capisco la potenza della cromoterapia.

Rosso, colore dell’agire. Blu, colore del sentire.

Rosso, spinta all’azione. Blu, quiete che subentra all’appagamento dell’azione.

Ripongo i tubetti sparsi sul tavolo.

Una sosta di fronte alla rossa peonia e una tregua sotto il tranquillo viola del glicine diluiscono uno spirito sacrificale per lui decisamente troppo oneroso.

 

in:  Il colore viola | Tracce e Sentieri.

Colori · Giardini del lago di Como

Il colore verde

 

Se confronto la verde distesa del prato all’inglese con i selvatici prati dei corridoi del mio giardino, sorrido. Di me stessa, ovviamente.

Non che io rincorra la speranza di ottenere, prima o poi, la lussureggiante erbetta verde dagli steli allineati alla stessa altezza. Per dire la verità, ogni anno, almeno vicino alla panca in cui si ama soggiornare, Paolo distribuisco generosamente duecentocinquanta chili di terra e spargo, a mo’ di seminatore dalla larga bracciata, qualcosa come due pacchi da 1000 grammi ciascuno di semenza.

 

Non succede mai nulla, se non l’arrivo di colonne di formiche e panciuti uccelli che probabilmente si rifanno le scorte dopo la penuria invernale.

 

Il mio prato è di buon temperamento. Accogliente e tollerante. Non fa distinzioni di generi e razze. Tutti sono benvenuti. E così si presenta con un manto assai variegato, dove in pacifico adattamento convivono erbe infestanti, erbe urticanti, erbe aromatiche. Tutte con al seguito il proprio corredo colorato che rallegra la vista e l’umore.

 

Solletica i sensi, il mio prato.

La vista. Il suo verde disordinato racchiude gioielli e colori infiniti. PRATOLINE, TARASSACO e VIOLE sono quelli che so distinguere.

 

 

Anche il TRIFOGLIO conosco, nelle sue due versioni bianco e violetto. E pure i cespugli di ORTICHE, che non necessitano certo delle infiorescenze viola per esprimere, attraverso il tatto, la loro presenza.

 

 

E carezzevoli ancora al tatto risultano le vellutate foglie della MALVA, con il loro fiore il cui colore assume lo stesso nome della pianta che lo produce. Poi la BRUNETTA, la CAMPANULA,la BUGULA, l’ACETOSA, la GINESTRINA e altre ignote erbe offrono le loro viaropinte corolle agli occhi di chi le sa guardare.

Fa rumore il mio prato. Sì. Perché nel verde dominante non spunta solo l’umile ma variopinto omaggio floreale. Nel silenzio del pomeriggio, se contemplo le calme acque del lago, l’udito si appresta a discriminare altri suoni. Di colore in colore si sposta il ronzio di api, bombi e calabroni.

 

Fra i resti delle foglie secche, un fruscio rapido e leggero annuncia la schiusa delle uova delle lucertole. Di tutte le dimensioni balenano velocissime, sparendo e riapparendo fra i sassi del muro, o mimetizzandosi fra i fili dell’erba novella, o nascondendosi tra i rami della salvia, o in ogni dove.

Se volessi inoltre accostare il mio orecchio alla nuda terra, potrei ascoltare il frenetico lavorio di infiniti insetti che si mescolano fra semi, radici e minerali, inerti e ignari del loro futuro.

 

Già, perché nel rumore del prato c’è anche il rumore della morte.

E’ armonioso per il mio udito, perché prodotto da gioiosi volatili che scendono a terra quando inizio a vangare e a rimuovere le zolle per preparare lo spazio dell’orto.

 

Ma questo suono melodioso è un annuncio funereo per gli abitanti della profondità terrena. Qualche volta però anche agli alati amici la sorte non arride.

 

Il vento, o un attentato di matrice felina, possono abbattere il nido sapientemente costruito con voli e voli di trasporto faticoso di selezionato materiale. Questa primavera la coppia proprietaria di questo cestello intrecciato cercherà inutilmente la propria dimora al calare della sera.

 

E’ odoroso il mio prato. Nelle giornate di pioggia il mio olfattoraccoglie il profumo della terra bagnata che sprigiona odori intensi e pregnanti. Vicino all’orto il secchio che raccoglierà il macerato di ORTICHE non mancherà di elargire il suo efficacissimo contributo dalle putride esalazioni.

 

E’ buono il mio prato. Qualcosa di suo entra dentro di me, lusingando il mio gusto.

TARASSACO, foglioline di MALVA, RUGHETTA selvatica e qualche grumolo risparmiato nel campo della CICORIA si danno finale appuntamento in generose terrine di salutare misticanza. L’artefice è Luciana che, dopo silenziose e attente passeggiate nelle macchie imprecise del verde dei corridoi terrosi, sa unire l’opera del suo raccolto in deliziosi piatti che titillano il palato con sapori forti,  pungenti, croccanti e gradevolmente amari.

 

Questo è il mio prato. Un piccolo mazzo rubato con discrezione appare nella casa di città ad allietare le colazioni del mattino, a ricordarmi che dopo qualche giorno lo potrò ritrovare là, dove l’ho lasciato.

da:  Il colore verde | Tracce e Sentieri.

Amamelide · Colori · Giardini del lago di Como

Il colore giallo

 

Nello scendere e salire i gradini, ti è dato di constatare l’assoluta contiguità tra terra e aria.
Dalla concretezza della pietra che salda il tuo contatto col suolo,  alla luce che rischiara il passo, rendendolo meno incerto e precario.
E’ da gennaio che le tenebre maggiormente faticano ad inghiottire quel che resta del giorno.
Prima ancora di me, esoso di quegli eroici minuti che regalano l’allungamento del crepuscolo, se ne accorge la silente natura, pronta a salutare la dissolvenza dell’oscuramento invernale.
E’ il momento del giallo.

Dapprima fioco, si posa sugli spogli rami del Calicanto, catturando più l’olfatto che la vista.I fiori paglierini sfidano la temperatura ancora fredda, esalando un intenso profumo che non può lasciare indifferente chiunque si trovi di lì a passare, obbligando pertanto ad accostarsi alle gialle corolle, così effimere ma caparbiamente decise ad affermare il loro dominio

 

Timidamente anche l’Amamelide non resta insensibile alla voluttà di quella fragranza.
Non riuscendo a competere in misura di essenza, sferra la sua rivincita acuendo la tonalità del suo giallo.
E’ commovente l’Amamelide, con quei fiori a raggiera che discordano col grigio del muro di pietra, pronta a ricevere la luce che la solletica dai tralci delle viti stesi sopra di lei, ancora completamente nudi.

 

Dal piano superiore un altro prodigio accade. Allineati come tanti soldatini curiosi, irrompono nelle loro gialle livree i Narcisi. Mossi dalla leggera brezza, si inchinano con un movimento grazioso ora lateralmente, ora abbassandosi a sbirciare nel corridoio sottostante. L’assortimento delle famiglie bulbacee alterna svariate sfumature di giallo e un cangiante colore del cuore, mescolato ad una punta di rosso.
Giallo e arancio marciano così, ordinati, lungo il bordo del sentiero dell’orto, con una smaliziata promessa di leggerezza e briosa volubilità.

 

 

 

Esulta anche la Forsithia, di solo giallo vestita, consapevole della sua caduca fatuità ma, forse proprio per questo, ben determinata a protendere i lunghi rami fioriti verso il cielo.

 

 

Più ostinata la Maonia. Lei ha resistito con le sue foglie lucide e dentate per tutta la stagione invernale, dispiegata sulla terra brulla ed in attesa del momento propizio. Eccoli ora, i mazzi delle infiorescenze, di un giallo esuberante che illumina il verde scuro del suo manto perenne.

 

 

Un’altra Maonia, questa ad arbusto e non tappezzante, abbraccia il sedile di pietra accanto al caco.

 

 

Al lato opposto, a mo’ di sentinella, la Kerria anch’essa getta disordinatamente le sue braccia in egual misura colme di foglioline verde tenero e di piccole corolle di un giallo spigliato e festaiolo.

 

 

Introversi e misteriosi, invece, i tulipani poco distante silenziosamente meditano.
La visione del cuore crocefisso ti è concessa per poche ore del giorno, poiché, allo scemare del calore solare, essi rialzano a calice i petali carnosi, ritornando a custodire gelosamente il segreto della loro passione.

 

Così mi nutro del giallo e della luce che esso richiama.

So che è un annuncio di breve durata.

La fascinazione del giallo è dirompente e l’energia che scatena mi appaga.

Nella tavolozza del mio giardino, intanto, altri colori si apprestano a mescolarsi per offrirmi nuove emozioni.

Ciao, giallo.

Benvenuta, primavera.

 

da: Il colore giallo | Tracce e Sentieri.