Quando diventò parroco?
«Nel 1964 c’erano da costruire tre parrocchie periferiche. La più conciata era Muggiò. Non c’era niente, neanche un pezzo di terreno. Chiesi di andare lì perché era una situazione tanto disperata che nessuno mi avrebbe rotto l’anima. Un’esperienza durissima. Dicevo messa nei garage. Fui sull’orlo di una crisi di nervi».
A Muggiò cambiò la sua vita.
«Il 4 febbraio 1975 bussò alla mia porta il primo drogato. Trovò l’uscio aperto. Nove mesi dopo erano in ottanta. Imparai a compiere i primi passi. Tutti sbagliati. Mi illudevo di tirarli insieme e migliorarli. Storie. Erano diventati loro i padroni e dovevo chiamare i carabinieri per farmi piantonare. Col tossicodipendente bisogna essere sì disponibili, ma con un polso molto fermo. Contrattare con molta chiarezza, prendere o lasciare».
Com’erano i rapporti con la gerarchia ecclesiale?
«Non cordiali. Per raccogliere fondi facevo concerti in chiesa, con grave disappunto del vescovo Ferraroni. Mi scrisse che la chiesa era diventata un auditorium. Risposi che siccome serviva ad aiutare gente emarginata, per me era ancora più chiesa. Punto. Mi trovo assai meglio col Vescovo attuale».
In che senso?
«Maggiolini ha il merito di capire la nostra missione e ci trasmette calore e stima. Il suo primo Natale a Como chiese di celebrar messa in comunità. Un segno di profonda attenzione».
Intervisa don Aldo Fortunato Corriere di Como – Approfondimento
