Cave sul Cornizzolo
E’ bella la consapevolezza di vivere in un territorio famoso per la sua bellezza, per l’equilibrio tra un ambiente superbo e l’opera dell’uomo. Poi, pian piano, si insinua il dubbio che questa simbiosi non sia proprio così felice come ce la descriveva il Manzoni qualche tempo fa, sintetizzando l’amore per la propria terra nello struggente Addio Monti.
L’addio ai monti, o almeno ad una consistente parte di essi, in realtà i lecchesi lo stanno già dando da tempo… Tale è l’armonia della natura che ci circonda, alla quale siamo abituati da generazioni, che a quanto pare pensiamo di poterci permettere di perdere lungo la strada dei pezzi non particolarmente pregiati, dissipando un patrimonio che, però, non è nostro………..
Una parte di questi monti, infatti, si è polverizzata nelle cave che circondano la città:
-Moregallo: una nuova, enorme ferita, si sta lentamente allargando proprio in questi mesi appena più a Nord della devastazione sopra la vecchia raffineria.
-Magnodeno: vista dall’alto, nei pressi della vetta, la gigantesca cava sembra il regno di Mordor de Il Signore degli Anelli.
-Monte Barro Est: la verticale parete di terra e sassi fa bella mostra di se sopra il Ponte Vecchio.
-Monte Barro Sud-Ovest: un evidente esempio di come per riqualificare una cava bastano dei riporti di terra, la piantumazione di qualche centinaio di alberelli, ed alcune decine di secoli di pazienza affinchè l’erosione spiani definitivamente il monte Barro. Allora sì che non si vedrà più niente; basta avere pazienza.
-Lecco-Maggianico, sulla direttiva per Bergamo: nel buco della cava ci hanno addirittura costruito dentro.
E poi, naturalmente, la Regina delle Cave: LA Cava, visibile sul versante Sud del Cornizzolo da chilometri di distanza grazie alla potenza dell’impatto visivo: una parete vastissima impossibile da nascondere o mascherare, come hanno dimostrato il vano tentativo di inerbire le cenge e l’inutile spargimento di una sostanza ossidante che avrebbe dovuto scurire la roccia.
Anche a queste ferite siamo ormai abituati, e, che lo si voglia o meno, anche loro fanno parte del paesaggio. Non è una consolazione, ma ormai “è fatta”.
E invece no: non è finita… Si parla infatti dell’apertura di un nuovo fronte di scavi sempre sul Conizzolo, sopra la prima cava, nel punto in cui la curva del costone cambia pendenza e, dopo il ripido scivolo del cono sommitale, si adagia in ampi pascoli a circa 1000 metri di quota. Ancora più visibile, ancora più violenta. Chissà che lo scempio annunciato non sveglierà il Drago di San Pietro al Monte.
Come cittadino, ma soprattutto come arrampicatore, sci alpinista ed escursionista mi ribello a vedere la mia terra continuamente massacrata, cementificata, sbudellata. Perché ancora il Cornizzolo? Tanto varrebbe, finito il lavoro lassù, andare a minare la base del Sigaro, del Fungo, del Cinquantenario e di tutti gli altri celebrati “paracarri” della Grignetta, tanto cari a noi lecchesi, per ottenere velocemente ottima materia prima per garages e condomini di lusso. C’è il fastidio di dover tirar fuori tutti i chiodi prima di tritarla, ma non è poi un grosso problema. A quanto pare il “semplice” valore della salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio non basta più per difenderci, e passerà sempre in secondo piano di fronte a qualsiasi altra istanza. Ma per me l’ambiente, come la salute, non è un valore contrattabilie
La notte di Natale scendevo da Morterone verso Lecco: nel cielo terso la pianura scintillava di milioni di lampadine e lampioni… Alcune misteriose masse nere emergevano dal mare luccicante: il Monte Barro, il lago, i Corni di Canzo, il Cornizzolo… Più in là, a destra, la Grignetta rischiarata dalla luna. Ma, si sa, il buio nasconde le brutture.
Quindi NO, non accetto che questa terra venga ulteriormente distrutta, e da alpinista voglio difendere le mie montagne, almeno con una manciata di parole scritte con rabbia.
Gennaio 2012
Pietro Corti
(testo segnalato da Marco Ballerini)

