LA PRIMA “PERSONALE” A 92 ANNI:
LA SUA PITTURA ACCOMPAGNAVA CON DISCREZIONE L’ARTE DEL MARITO
“ENZA CORATOLO RIVA: SINFONIA DI COLORI – OPERE 1958-1982”
Enza Coratolo (classe 1927) ha vissuto d’arte insieme al marito scultore, il comasco Eli Riva, accompagnandolo nella vita ma anche come coscienza critica della sua carriera artistica.
Ha dipinto per 30 anni, ma non ha mai realizzato una mostra personale, proprio “per non disturbarlo, perché in casa l’artista era lui…”. In occasione del suo 92simo compleanno, il Comune di Casnate con Bernate (CO) organizza la prima esposizione antologica della sua pittura: con il titolo “ENZA CORATOLO RIVA: SINFONIA DI COLORI – opere 1958-1982” la mostra si terrà al Salone Cà di Fraà dal 20 febbraio al 3 marzo.
Ha chiuso la cassetta dei colori per l’ultima volta nel 1990. E non ha lavato i pennelli, dicendo : “Non dipingo più. Mi fermo qui. Il mio percorso l’ho fatto. Non riesco più ad andare avanti”.
Si fermò alle soglie dell’astrattismo, dicendo che non apparteneva alla sua identità di pittrice. E da casa è scomparso quel pungente odore di acquaragia che ha accompagnato la mia giovinezza.
Il suo viaggio personale nella pittura ad olio Enza l’aveva svolto fianco a fianco a quello scultore che lei stessa aveva scoperto e premiato nel 1950, quando insieme all’architetto Francesco Castiglioni e a Mario Radice organizzò la prima – e storica – mostra collettiva comasca del dopoguerra nell’atrio di Palazzo Terragni. Enza Coratolo è stata per più di 50 anni la moglie di Eli Riva, e lo ha accompagnato come specchio critico della sua ricerca scultorea, che si è addentrata in gran parte nei sentieri della pura immaginazione astratta.
Se il pensiero di Enza seguiva le avanzate evoluzioni stilistiche della scultura di suo marito, distaccate dalla realtà figurativa, la sua pittura invece apparteneva al mondo reale, alle cose e alle persone che componevano il mondo della sua vita concreta. Anche se il suo approccio al reale risulta poi nei quadri quasi onirico, come nella serie delle “Antenne” o in quei “paesi che volano”, le numerose versioni che Enza realizzò del borgo di Careno (Lago di Como), che ogni volta letteralmente reinventano il soggetto: variazioni sul tema poiché “la memoria è ridondante, ripete i segni perché la città cominci ad esistere” (Calvino).
Una leggerezza onirica, nei suoi dipinti, che si concentra sulla ricerca della qualità del colore, e vuole quest’ultima come forza che agisca sempre in primo piano.
Enza pensa di avere avuto una sensibilità particolare per il ritratto, e in mostra troviamo una nutrita galleria di personaggi, che vanno anche a ricostruire uno spaccato della storia della vita culturale della città di Como, dal pittore Aldo Galli, all’architetto Francesco Castiglioni, a Giovanna Mantero Terragni…
Enza Coratolo negli anni della guerra studia a Brera ( fra i suoi docenti c’era Guido Ballo ) dove si diploma nel 1947. Ha poi insegnato Educazione Artistica alle scuole medie per 37 anni , e in classe, seduta in un banco, dipingeva insieme ai suoi allievi, affrontando, come loro, lo stesso soggetto pittorico che proponeva come tema della lezione. Oppure leggeva loro una poesia, spesso brani dall’Inferno dantesco, e chiedeva di disegnare quello che il testo suggeriva alla loro immaginazione: una modalità didattica sicuramente non ortodossa, per quei tempi, ma molto efficace per stimolare creatività e fantasia.
Ricordiamo infine la laurea in Farmacia (non utilizzata professionalmente), gli studi universitari di filosofia – intrapresi poco prima dei 50 anni – e la sua attività nella critica d’arte, che dice di aver imparato da Guido Ballo: negli anni ’40 scrive per la rivista Sentimento diretta dal professor Sfardini, successivamente per il settimanale Corriere del lunedì di Pino Tocchetti, e infine per La Tribuna di Como diretta da Angelo Curtoni.
L’esposizione di Casnate con Bernate si tiene in questo 2019 per metterla in connessione con la ricorrenza del 50simo della costruzione della chiesa di S.Agata (Como), realizzata appunto dal marito, lo scultore Eli Riva. In questa occasione l’Associazione Eli Riva organizzerà anche una mostra dedicata al percorso di progettazione delle vetrate di S.Agata, una delle prime chiese in Italia costruite secondo i dettami strutturali imposti dal Concilio Vaticano II.
Enza Coratolo ricorda che il marito, per progettare la chiesa, viaggiò in Europa in “Topolino” con Monsignor Giovanni Valassina per aggiornarsi e studiare le chiese europee contemporanee. E il risultato fu una delle più interessanti chiese italiane post-conciliari, come risulta da uno studio del critico d’arte Gianluca Bertani, pubblicato nella “Rivista Internazionale di Arte Sacra e Liturgica” nel 1984 con il titolo “Interventi di scultori contemporanei in edifici sacri” (www.elirivascultore.it ).
Giovanna Riva
Enza Coratolo Riva – Sinfonia di colori
Opere 1958-1982
20 febbraio – 3 marzo 2019
CASNATE CON BERNATE (COMO)
Salone CA’ DI FRAA’
Inaugurazione 20 febbraio ore 18
Orari: SAB-DOM 11 – 20 / LUN-VEN 14 – 19
INFO: associazione.eli.riva@virgilio.it
+39 393 751 3380
INSEGUENDO UN’ILLUMINAZIONE INTERIORE
Non è facile scrivere di un’artista che ha scelto, sin dall’inizio, di spendere la sua avventura formale, come una sorta di ossimoro vivente, da professionista/dilettante. Una dilettante che ha praticato l’arte della pittura per il proprio piacere e non ha mai venduto le sue opere (al più le ha regalate), considerandole quasi una parte di sé da cui è difficile separarsi. Al tempo stesso, però, una professionista, una pittrice finita come può essere chi, in tempi non sospetti, abbia compiuto il percorso formativo di Brera, sempre operando dentro le problematiche culturali del suo tempo, con sicurezza e talento naturale nella consuetudine con gli strumenti del mestiere. Pochissimi, fino ad oggi, hanno avuto la gioia di ammirare le sue tele, ad eccezione dei familiari, degli amici e dei visitatori dell’unica mostra (una collettiva tutta al femminile allestita nel 1983 nel salone del Broletto di Como) in cui ne fu esposta una piccola selezione.
La qualità più evidente della pittura di Enza Coratolo è la freschezza, risultante da una tavolozza chiara e pulita, ma più ancora dalla rapidità di esecuzione dei dipinti, senza pause, senza ripensamenti o pentimenti, come può fare solo chi abbia raggiunto una considerevole maturità espressiva. Ciò nonostante, niente a spartire con la pittura en plein-air degli Impressionisti, tutta vibrazioni e tremolii, alla ricerca dell’ora che fugge. Qui la luce che modella gli incarnati, le superfici degli oggetti o gli elementi di un paesaggio è sempre corposa, quasi solida, atemporale, e fa manifesta l’avvenuta e completa metabolizzazione delle esperienze artistiche della modernità, dal Postimpressionismo fino alla metà avanzata del secolo scorso e all’intuizione di alcune tematiche della Pop-art.
Risalgono alla seconda metà degli anni ’50 le prime prove di pittura on the road, paesaggi e ritratti di bambini, fermati sulla tela alla brava, tutti d’un fiato, nelle soste delle scorribande per la penisola: Ravenna, Venezia, la Riviera ligure, Tarquinia, Roma, oltre alle rive del nostro lago. Da una visione naturalistica si passa in breve tempo a una trascrizione interiore: più che dalla verosimiglianza delle forme e dal fermento della luce fisica, la mano della pittrice è attratta dall’urgenza di cogliere l’attimo dell’illuminazione profonda. Quando il colore si posa sulla tela, l’immagine colta dalla rètina si fa epifania formale.
“Mi affacciavo alla finestra del mio appartamento, all’ultimo piano del Palazzo Pedraglio in via Mentana, e vedevo i tetti delle case, i comignoli e le antenne della televisione, quasi fossero colline e alberi”. Si era agli inizi degli anni ’60. Nacque così una serie di paesaggi urbani oscillanti tra la terra e il cielo, nei quali il segno di Enza, con il cuore all’amato Licini e l’occhio alla profonda icasticità di Paul Klee, si fa simile a una scrittura crittografica in cui l’osservatore scopre celata una realtà diversa e sconosciuta che improvvisamente si svela nella sua poeticità per mezzo della percezione dell’artista, come avevano teorizzato i Surrealisti. In effetti, ci sono state lungo il suo percorso artistico, alcune incursioni in campo surrealista, ritratti in cui la natura umana è ibridata con altre realtà tra loro incongrue, tendoni da spiaggia che non esistono ma lasciano l’ombra sulla sabbia. Sondaggi, tentativi di chi cerchi la propria direzione con l’allegria di un gioco. La serie delle antenne fu il ponte d’aria verso la concretezza della forma pienamente riconquistata al di fuori delle sue apparenze.
Da questo momento scompaiono dalle immagini che Enza costruisce sulla tela il chiaroscuro e le ombre portate. Se in qualche rara occasione modulano la superficie cromatica, le ombre chiare sono funzionali alle dinamiche interne al dipinto e non alla percezione oggettiva. Gli anni ’70, con i numerosissimi ritratti e le nature morte di frutta sul piatto bianco portano a una sorta di smaterializzazione delle geometrie cezanniane che invece di solidificare l’immagine, la rende quasi trasparente, nel rifiuto delle simmetrie e con il gusto per gli equilibri leggermente squilibrati, affidati alle diagonali così da portare movimento in figure e composizioni apparentemente statiche. La nutrita serie di ritratti, prende avvio da reminiscenze Novecentiste per approdare a una resa di estrema semplificazione della sintassi pittorica che, lasciata dietro di sé ogni liquidità modiglianesca, persegue una ricerca fisiognomica tanto immediata quanto precisa nella sua definizione psicologica.
La ricerca dell’equilibrio instabile raggiunge il suo apice nelle numerose vedute di Careno e nella serie di tele dedicate ai casalinghi da cucina. Le casette abbarbicate al ripido declivio della montagna, le chiese con i loro campanili, i pontili, i muretti, non più elementi di geografia antropica, finiscono per disfarsi in un’entità defisicizzata sospesa tra le acque di sotto e le acque di sopra, una sorta di scala di Giacobbe che ci porta con gli angeli nelle sfere celesti. Il peso della montagna incombente non è mai avvertito perché in queste visioni la montagna non esiste e, come in un albero magico, la parte aerea non è che il riflesso di quella sottostante.
L’ultima stagione dell’attività della nostra pittrice si giocò su un’intuizione di grande attualità per quegli anni, tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80. Era arrivata d’Oltreoceano la novità del linguaggio Pop, con la sua attrazione verso gli oggetti d’uso e gli aspetti consumistici della realtà contemporanea, mentre la vita pubblica e culturale era scossa dai movimenti femminili e femministi che se da una parte rivendicavano diritti e autonomia per le donne, dall’altra erano ben consapevoli della complessità e della varietà di conoscenze e di saperi di cui il mondo femminile era depositario e che non potevano andare dispersi. È con una buona dose d’ironia che Enza impigna sul lavandino della sua piccola cucina torri di pentole e casseruole, raduna montagne di scodelle, ordina rastrelliere di coperchi, sciorina mestoli, si dedica ai tubi di scarico dell’acquaio e della lavastoviglie. L’armamentario classico della casalinga di Voghera diviene una fonte inesauribile d’ispirazione. Sulle superfici curve dei coperchi e dei tegami, edificati in equilibri precari – come le torri dei Sette palazzi celesti che Anselm Kiefer alzerà molti decenni più tardi alla Bicocca – gli sprazzi di luce si inseguono con un’ironia pari solo all’amore accumulato con l’uso quotidiano: che sia davvero quella la strada per ascendere al divino?
La domanda rimarrà senza risposta, perché la pittrice finita decide qui di chiudere la sua cassetta dei colori, di riporre i pennelli, di dimenticare l’ebbrezza dell’acquaragia e di dedicare suoi talenti a obiettivi di maggior momento. Chiedere a lei per saperne di più.
Rossano Nistri
vedi anche
L’ha ribloggato su ANTOLOGIA del TEMPO che resta.
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