Anna B · Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane

citazioni da PLINIO IL VECCHIO (Como 23 d.C. – Stabia 79 d.C.), STORIA NATURALE. Grazie ad A.B. per la condivisione

Le stelle […] non è vero che, come pensa la gente, siano assegnate a
ciascuno di noi, e distribuite fra i mortali con uno splendore proporzionale
al destino di ognuno, brillante con i ricchi, più piccole per i poveri,
oscurate per chi è in calando, non nascono e muoiono insieme al proprio
rispettivo uomo e, quando cadono, non vuol dire che qualcuno si spegne.
Non c’è una tale affinità fra il cielo e noi, da rendere mortale, insieme al
destino nostro, anche il fulgore delle stelle di lassù. LIBRO II .28-29
[…] da questo punto dell’universo – e infatti la terra, nel tutto, non è altro
che questo -; questo è dunque l’alimento della nostra gloria, questa la
dimora. Qui rivestiamo cariche, qui esercitiamo poteri, qui bramiamo
ricchezze, qui noi, razza umana, ci agitiamo, qui promuoviamo guerre,
anche guerre civili, e con massacri reciproci rendiamo la terra più spaziosa.
E poi, per tralasciare le follie collettive dei popoli, è questo il luogo dove
scacciamo i nostri confinanti, dove come ladri annettiamo al nostro campo
la zolla del vicino – cosicché, chi ha raggiunto la massima estensione di
campagne ed ha respinto i suoi vicini oltre la portata della fama, quale
percentuale della terra si potrà godere? o, quando pure abbia diffuso la sua
ricchezza in proporzione all’avidità, che porzione gli può restare alla fine,
da morto?  LIBRO II . 174-175
Seguono alla sepoltura le varie dicerie sui Mani. Tutti dopo l’ultimo
giorno di vita, si trovano nella stessa condizione in cui erano prima del
primo giorno; nella morte il corpo o l’anima non hanno alcuna sensibilità
più di quanta ne avessero prima della nascita. È la solita vanità umana che
si proietta anche nel futuro, e inventa per sé una vita che si prolunghi
anche nel tempo della morte, ora ammettendo l’immortalità dell’anima o la
metempsicosi, ora attribuendo una sensibilità ai defunti, venerando i Mani
e facendo un dio di chi ha cessato ormai anche di essere uomo. Come se il
nostro respiro avesse qualcosa di diverso da quello degli altri animali, e tra
questi non se ne potessero trovare molti che hanno una vita più lunga della
nostra, senza che perciò qualcuno predica loro immortalità. Ma quale
sostanza ha l’anima di per sé? Quale consistenza materiale? Dove
risiederebbe il suo pensiero? Come può avere la vista, l’udito o il tatto?
Quale utilità potrebbe derivarle da essi? E, senza di essi, quale bene può
avere? E poi, quale sarebbe la sede delle anime o ombre, e quanto grande illoro numero dopo tanti secoli? Queste sono invenzioni e sogni puerili dei
mortali, bramosi di non finire mai.[…] Ma quale follia è mai questa, di
credere che con la morte si ricominci a vivere? E quale pace avrebbe mai
chi è generato, se rimane una sensibilità all’anima in cielo e all’ombra
sottoterra? Queste molli fantasie e questa credulità fanno perdere il bene
maggiore della natura, che è la morte, e raddoppiano il dolore di chi sta
morendo facendogli credere che esisterà ancora. LIBRO VII .188-190
Essere dio è per un mortale, aiutare un mortale: ecco la via verso la gloria
eterna. LIBRO II .18

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