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… non volevo credere ai miei occhi. Dappertutto una terra abitata. Vallate e pendii ricoperti di borgate e di cittadine. Tutta quanta la natura lavorata e modellata dall’uomo. Ciò che si chiama cultura nel senso più raffinato, mi si presentava nella forma più armoniosa.
Romano Guardini, Lettere dal lago di Como, 1923-1926.
Agli occhi dei visitatori del Grand tour che nel XIX secolo giungevano sul lago di Como, traendone immancabilmente quella potente impressione di meraviglia che hanno cercato di trasmettere attraverso una quantità di scritti e testimonianze equiparabile solo a ciò che le grandi città d’arte – Venezia, Roma, Firenze – hanno prodotto, appariva un paesaggio ben diverso da quello che il frettoloso turista contemporaneo può cogliere.
Terrazzamenti, radure che squarciavano il fitto dei boschi in altura per far spazio ai pascoli, lembi di terra, anche i più piccoli, conquistati alla coltivazione e rubati con la fatica alla montagna grazie a un’opera di manutenzione continua erano gli elementi più tipici di questo scenario.
I nostri visitatori avrebbero visto quasi ovunque – soprattutto nel ramo comasco – muretti a secco e filari di viti, ma anche seminativi, gelsi, ulivi e, certamente, i giardini.
Il paesaggio storico lariano era plasmato dal lavoro dell’uomo, da un’economia di sussistenza che traeva dall’ambiente le risorse disponibili. Agricoltura, pastorizia e sfruttamento dei boschi davano luogo a una produzione di beni che veniva trasportata, grazie a una rete di collegamenti verticali, sulle rive del lago, la cui acqua è stata per secoli il più agevole strumento di mobilità e di scambio di merci tra le Prealpi e le grandi città della pianura.
Un paesaggio doppiamente colto dunque, in cui un dato naturale straordinario ha consentito all’uomo di sviluppare una sapiente cultura materiale e, insieme, di attrarre e ispirare le più raffinate menti della cultura occidentale. Questa è l’unicità di un territorio così denso di contenuti, che anima un mondo popolare e minuto, una provincia laboriosa accanto a cui vive una ribalta internazionale, un tempo aristocratica e ora mondana.
Oggi il grande assente in questo paesaggio è il rapporto con la terra, ma anche col lavoro dell’industria che è venuta a mancare. L’abbandono dell’agricoltura ha comportato la perdita di alcuni tratti identitari, favorendo l’avanzamento dei boschi e il disfacimento dei terrazzamenti, ma la conoscenza del paesaggio storico lariano resta un momento indispensabile per lo sviluppo di una consapevolezza comune e la preservazione di un patrimonio su cui si basa anche l’economia del turismo, che è e sicuramente sarà la vocazione principale di questo territorio.