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Storia dell’utilizzo del Palazzo Carducci, articolo di Gerardo Monizza in La Provincia di Como , 28 dicembre 2025, pag. 9

Il caso Carducci. Una mistificazione
[Appunti per una ‘storia’ in divenire]
—- La contrapposizione tra Comune e Carducci sta esplodendo sui social dove chi meno sa più chiacchiera. A vanvera.
Precisiamo – ancora una volta – alcuni dati: il Palazzo Carducci, dal 1930, è di proprietà del Comune di Como (non regalato, ma pagato all’associazione Carducci poco meno di tre milioni di vecchie lire); il Palazzo si compone di due edifici comunicanti ovvero il civico 5 e il civico 7. Fino al 1975, il n. 5 è stato destinato alle Magistrali (poi trasferite all’ex Setificio di via Carducci). Per un paio di decenni, sempre il numero 5, è stato sede dell’Università dell’Insubria (lasciato definitivamente nel 2022).
L’Associazione Carducci, dal 1930, a seguito di un contratto, occupa il numero 7: ufficialmente e legalmente sarebbero le sole stanze del piano terra e, per tacito accordo col Comune, anche i due piani del numero 7.
Infatti, l’Istromento (1930) a pagina 5 punto 3 dice “Il Comune di Como dovrà mantenere a permanente, libera e gratuita, disposizione dell’Associazione Carducci, rimanendo a carico del Comune il riscaldamento e l’illuminazione e fino a quando questa avrà vita, i seguenti locali: quello ad uso segreteria, e la sala ad uso delle biblioteche, entrambi a piano terreno del fabbricato…” e al punto 4: “il Comune dovrà dare gratuitamente riscaldato e illuminato, sempre quando non adibito per bisogno della scuola Magistrale, all’Associazione per tutte le sue manifestazioni culturali, artistiche, musicali, il salone Brambilla [ora Musa] ecc.”.
Sulle vicende del Museo Casartelli, del salone Musa e della cosiddetta ‘Musicoteca’ abbiamo già ampiamente scritto e dunque non ci ripetiamo. Tuttavia, vale la pena di precisare che nella “Convenzione” (1929) tra Comune e Associazione, redatta in preparazione del successivo Istromento (1930), a pagina 1 punto 3 si legge: “Nessun altro locale dell’edificio ‘Palazzo Carducci’ potrà essere mai e per nessun motivo sottratto all’uso esclusivo del R. Istituto Magistrale”.
Da un paio d’anni ovvero a partire dalla presidenza Forgione, l’equilibrio giuridicamente instabile tra Comune e Associazione è finito (comunque, non si poteva, allora, prevedere il cambiamento avvenuto mezzo secolo dopo).
Il Comune ha concesso il ‘solo’ piano terra del numero 5 al Conservatorio ed ha cercato di riprendersi la gestione del Museo Casartelli. La storia è nota. Ma il Carducci (improvvisamente detta ‘la Carducci’) desideroso d’ampliarsi pur non avendo né progetti, né sostanze e neppure diritti si sarebbe impossessato nominandosi ‘legittimo possessore’ dell’intero numero 5.
Chi ha frequentato il Carducci negli ultimi decenni sa bene che il numero 5 non è mai stato in ‘possesso’ del Carducci (tranne le aperture del Museo, concordate con Comune e Università) e che si tratta solo di una pretesa che ha causato e prodotto infinite cause e sperperato denaro, sia dei soci che dei cittadini, nelle parcelle degli avvocati, nelle spese processuali, nel tempo impiegato.
Tra le migliaia di documenti che si potrebbero portare a sostegno della nullità delle pretese della presidente Forgione (già abbastanza maltrattata sui social) e che vanta la storicità del ‘possesso’ potrebbero bastare due immagini relative ad una sala del primo piano del Palazzo al numero 5. Una è del febbraio 2024 e rileva la stanza vuota, libera da qualsiasi cosa; l’altra è dell’agosto 2025 (pubblicata dalla stessa Associazione) in cui si rileva la stanza ingombrata da arredi (provenienti dal numero 7 e dal salone Musa). Ecco la prova ‘postuma’ di una occupazione che non c’era…
Infine, la minaccia della presidente Forgione di rivolgersi all’Antimafia e alla Corte dei Conti si riconosce come avventata e pretestuosa (un Comune in casi specifici ha la possibilità, in collaborazione tra Enti Pubblici di affidare un servizio o un bene a un altro ente locale – es. una scuola – senza gara, come sancito da varie norme anche europee). Insomma: tutta la storia è un nulla giuridico, un impiccio culturale, una mistificazione totale. Peccato: questa vicenda poteva andare meglio.

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