i mostri ci sono
e ritornano:
Saluti romani nel luogo dove il Duce fu fucilato: è polemica con l’Anpi
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Saluti romani nel luogo dove il Duce fu fucilato: è polemica con l’Anpi
TartaRugosa ha letto e scritto di:
Silvia Bonino, 2012
Il mio giardino semplice
De Vecchi Editore
vai alla scheda Ibs
Noi tartarughe siamo semplici e ostinate. Sarà forse dovuto al fatto che metà del nostro tempo lo trascorriamo in ozio meditativo, riportando alla memoria quanto osservato nella vita trascorsa sopra, anziché sotto, le radici. E quest’anno molti sono stati gli accadimenti da ri-analizzare: ci vogliono anche gli strumenti appositi e sicuramente la visione del giardino fornita dagli occhi di una psicologa aiuta a districarsi nel corso degli stravolgimenti atmosferici.
Che come tartaruga potrei avere molto da raccontare a livello autobiografico, risalendo alla storia dei miei avi vissuti in epocali ere geologiche … ma il tempo a disposizione è quello che è, per cui diventa molto più interessante assistere alle manovre difensive dei miei amici umani e immagazzinare i consigli di Silvia Bonino.
Il suo libro, infatti, è stato pensato e realizzato per il pubblico infantile, quindi non solo i suggerimenti sono lineari e abbordabili anche dal mio rudimentale cervello, ma ciò che accompagna l’intera spiegazione è l’intenzione educativa che dovrebbe giungere all’essere umano sin dalla più tenera età grazie al rapporto con i vegetali.
“Le mie conoscenze di psicologia infantile unite alla personale esperienza di giardinaggio mi hanno convinta della necessità di coinvolgere direttamente bambini e adolescenti nella coltivazione delle piante. Si tratta infatti non solo di accostare i soggetti più giovani alla natura, di ampliare la loro conoscenza scientifica del mondo vegetale, di aiutarli ad apprezzarne la bellezza e il valore, di educare cittadini più rispettosi dell’ambiente e della sua storia. Si tratta, in modo molto più profondo, di educare il bambinoattraverso la coltivazione delle piante. … i numerosi insegnamenti non riguardano solo i diversi rapporti con l’ambiente, ma anche altri aspetti più profondi della personalità stessa dell’individuo, del suo modo di pensare e di entrare in relazione con gli altri … di porsi di fronte alla realtà, modi che partono dal mondo vegetale ma al tempo stesso lo travalicano”.
Dunque apprendimenti che tramite l’arte del “giardinaggio casalingo” diventano palestra di vita e insostituibile formazione anche dal punto di vista intellettuale.
Gli obiettivi che il testo si pone sono affascinanti:
Le modalità con cui tali obiettivi vengono perseguiti consistono nella presentazione di un tragitto avente come base pochi ma efficaci assunti: che cos’è il giardino semplice; che cosa serve per il giardino semplice; che cosa evitare nel giardino semplice; che cosa fare nel giardino semplice.
L’autrice non trascura il fatto che non tutti possono avere la fortuna di possedere un giardino: i consigli infatti possono essere applicati, con le dovute proporzioni, anche ad appezzamenti minori, dal terrazzo, al balcone, al davanzale di una finestra.
Ciò che è oltremodo incoraggiante riguarda proprio l’aggettivo “semplice”, assolutamente non proposto in forma riduttiva, ma inteso come avvio di comportamenti virtuosi e di pensiero.
Sottolinea Bonino che oggigiorno siamo tutti un po’ vittime di innamoramenti artificiali della natura: è sufficiente recarsi da un florovivaista per poter ammirare innumerevoli varietà di piante e fiori messi in bell’ordine, come se quel risultato fosse la normalità, esattamente riproducibile anche nei propri luoghi abitativi, senza tener conto delle differenze vincolate ad elementi quali l’umidità, l’esposizione alla luce, la composizione del terreno, la temperatura.
“La pianta e il suo ambiente costituiscono un sistema complesso, la cui comprensione richiede di tenere conto non solo di una pluralità di elementi, ma anche del fatto che le relazioni tra questi elementi non sono mai determinabili e prevedibili in modo certo, ma solo con un certo grado di approssimazione. Per questo il giardinaggio costituisce un’ottima educazione al pensiero complesso, al ragionamento probabilistico e alla capacità di considerare contemporaneamente diverse variabili”.
In un giardino la cosa più importante è imparare ad OSSERVARE. Addirittura prima di impiantarlo. Accade spesso infatti che tale compito venga delegato all’architetto giardiniere, più propenso a “piazzare” i propri prodotti che a rispettare le caratteristiche dell’ambiente.
Nell’esperienza mia e di TartaRugoso, imparare ad osservare è scaturito dai molti errori commessi quando, assolutamente principianti, ci facevamo catturare dalla beltà dei cespugli fotografati sui libri e ci precipitavamo ad acquistarli. Alcuni arbusti ce l’hanno fatta, altri invece sono diventati parte integrante della terra che non ha saputo, per causa nostra, onorare le loro esigenze.
Abbiamo imparato a scegliere piante che si adattassero alla totale ombra, e ora sappiamo anche che cosa resiste all’impavido sole.
Bonino parla di come sia importante sviluppare la capacità di anticipare, azione che comporta la possibilità di immaginare possibili e diversi scenari futuri. Sostiene giustamente che se si fallisce in questa operazione, gli errori non possono essere riparati in tempi brevi.
Dedicarsi al giardinaggio implica inoltre l’acquisizione del significato del termine”probabilità”, concetto che si applica ben al di là del giardino di casa: “Se si tiene conto che tutta la scienza moderna è di tipo probabilistico, si comprende l’importanza di saper ragionare in termini di probabilità e, soprattutto, di accettare l’insicurezza che ne deriva”.
Questa accettazione è basilare se si vuole imparare ad accettare la frustrazione di variabili insospettate e, soprattutto, a diventare pazienti.
Il luglio del 2013 in questo caso è stato un ottimo maestro. E’ infatti successo ciò che, in un quarto di secolo, avevamo solo sentito narrare: “Non bisogna poi dimenticare le avversità atmosferiche, fra cui la più terribile è la grandine: se talvolta si limita a bucherellare le foglie, altre volte le lacera fino alla completa distruzione, danneggiando anche i rami. Una rovinosa grandinata può compromettere tutta la fioritura e il raccolto non solo di quell’anno, ma anche la fioritura della primavera seguente e la conseguente fruttificazione. … Il giardiniere paziente, allora, ricomincia da capo, trae insegnamento dagli eventuali errori commessi e cerca di non ripeterli, accetta gli eventi sui quali non ha alcun controllo e guarda al futuro con fattivo ottimismo”.
Per dirla ancora con le parole di Bonino, dal punto di vista psicologico “la frustrazione è strettamente connessa alla pazienza: bisogna infatti saper aspettare che un obiettivo si realizzi, dopo aver fatto tutto ciò che era necessario per il successo della propria iniziativa. La pazienza è una virtù fuori moda. Oggi tutti, adulti e bambini, vogliono avere subito tutto, di qualunque cosa si tratti. E poiché questo non possibile, se non in casi molto rari, la depressione e l’infelicità dilagano. Nel caso di un giardino, bisogna imparare a rispettare i ritmi della vita vegetale, che sono lenti e richiedono sovente di pazientare non solo settimane e mesi, ma addirittura anni. … Questa pazienza non è però inerte attesa; è certamente un atto di fede nel futuro, che si sostanzia tuttavia di un lavoro costante e di cure assidue”.
E così è stato anche nel nostro caso. Dopo lo sbigottimento e la rabbia causati dalla grandinata nefasta, è arrivata la voglia della ricostruzione e dello sviluppo del pensiero su come agire e reagire : ”dopo un momento iniziale di irritazione o di sconforto, il fallimento è infatti di stimolo a trovare soluzioni migliori e più creative”.
Le indicazioni e i consigli che Bonino fornisce nel suo libro per mettere chiunque in grado di cimentarsi con la cure del verde sono veramente innumerevoli, comprese numerose schede relative a piante atte ad essere coltivate in climi e spazi difficili lungo tutto l’arco dell’anno.
Il concetto più profondo che trasmette per far sì che il rapporto con il giardino diventi intimo e reciproco (nello scambio del dare e del ricevere) è quello di empatia: “Prendersi cura di un essere vivente – vegetale, animale o umano che sia – significa anzitutto riconoscere e rispondere alle sue esigenze, anche se questo ci costa impegno e fatica. … Per empatia si intende la capacità di comprendere e condividere le emozioni di un altro essere vivente: essa può basarsi sia su segnali esterni sia sulla rappresentazione astratta delle esigenze altrui. La cura delle piante aiuta proprio a sviluppare questo secondo tipo, più evoluto, di condivisione emotiva, basato sulla rappresentazione mentale del vissuto altrui, in questo caso le necessità delle piante”.
Bando quindi alle chiacchiere tipiche dei novelli orticoltori, ognuno così certo delle proprie tecniche: così come non esistono individui ripetibili, altrettanto si può affermare per l’orto-giardino semplice.
Occorre camminare, sostare, guardare, ascoltare, toccare, per capire i reali bisogni del nostro giardino.
Nell’imprevedibilità dei fenomeni, per il momento la natura ancora resiste e ha molto da insegnare a chi la vuole amare, ponendoci “di fronte all’evidenza che la nostra azione sul mondo biologico, del quale siamo parte, non è onnipotente e infinita, ma anzi sottoposta a molti vincoli … avere cura delle piante significa scoprire come, all’interno di certi limiti, ci sia grande spazio al nostro agire, se basato su conoscenze appropriate e su buone pratiche”.
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FINO AL 5 MAGGIO: ”OBIETTIVO CITTÀ MURATA” Mostra fotografica allo Spazio Natta Presso lo Spazio Natta (via Natta 18, Como), prosegue la mostra fotografica a tema dal titolo “Obiettivo città murata“.
L’esposizione propone una scelta di più di cinquanta fotografiee la proiezione di oltre cinquecento immagini su video in loop.
Il workshop fotografico, che ha preso avvio dalla giornata di studi dedicata a “Obiettivo città murata”, si è tenuto con successo a partire dall’incontro di preparazione organizzato il 24 febbraio scorso, per continuare poi con il percorso di osservazione e conoscenza nel centro storico di Como seguito da molti partecipanti il 2 e il 9 marzo scorsi.
Ora l’iniziativa è giunta al suo coronamento nella mostra fotografica che sarà visitabile tutti i giorni, con ingresso dalle 15 alle 19, fino al 5 maggio.
INGRESSO LIBERO.
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“Per CHIAVE DI VOLTA è stata un’esperienza nuova, impegnativa ma molto gratificante, che ha permesso, com’era nelle intenzioni, di stimolare l’osservazione della nostra “Città Murata”, non solo tramite la personale interpretazione degli autori delle fotografie, ma ora anche attraverso lo sguardo di chi guarderà le immagini esposte e sarà portato a una personale riflessione“ |
Andare nel Salento è un desiderio che mi accompagna da anni, così come quello di navigare il Po e vedere il suo delta, possibilmente in un clima di nebbia rarefatta.
Sono quegli accenni che nella vita di coppia ogni tanto si affacciano, si accarezzano, si progettano con la fantasia e terminano sempre con la fatidica frase: “E la gatta?”. Situazione che si è maggiormente complicata da pochi mesi a questa parte: “E i tre gatti?”.
Ci voleva un evento forte per dare una scossa a questi pensieri.
Sempre nel pourparler, infatti, il tempo per realizzare il desiderio coincideva con la presunta morte della povera ignara Miciù. Prima di procedere con una sua sostituzione e per rielaborare il lutto della perdita, un breve soggiorno al Sud sembrava il rimedio ottimale. La quota di tre, però,faceva apparire il progetto irrealizzabile.
Ci ha pensato Nabokov a dare la mossa.
E allora oggi, grazie alla provvidenziale segnalazione di amiche fantastiche, siamo andati a conoscere la soluzione del nostro problema.
Che già al telefono le premesse erano molto, molto accattivanti. Perché quando una voce ti annuncia, dopo aver fissato data e ora di appuntamento,
“Bene, così vi presento le mie galline!”
tu capisci che il luogo ancora sconosciuto non può non esserti amico.
Molte le coincidenze: stessa riva del lago, stessa localizzazione un po’ impervia (nel senso che c’è un breve tratto da fare a piedi), stessa concezione dell’amore della natura e degli animali e probabilmente dell’altro cui il tempo darà modo di palesarsi.
Già la felicità di sapere che i nostri complicati quattro zampe sarebbero stati degnamente accolti, ci pareva un successo strepitoso. A poche ore dal ritorno da Arcaland questo sentimento si è ulteriormente accresciuto.
I due squisiti padroni del luogo, infatti, ci hanno accolto con genuina simpatia al limitare del bosco, dove sorgono qua e là rifugi, capanne, casupole attrezzate per la gioia di tutti gli esseri viventi che hanno la fortuna di transitare nei pressi. Selvatici e domestici.
Fra i domestici abbiamo conosciuto
le ormai famose galline, di cui una praticamente “da casa” (anche le galline hanno il loro carattere e i loro limiti di sopportazione),
due cani,
quattro tartarughe,
quattro gatti,
una serie di pappagallini.
Fra i selvatici siamo riusciti ad avvistare uno stormo di verdoni e le tipiche cunette di terra formate dalle talpe.
La sorpresa poi è stata la visita del “Cat hotel” un vero cinque stelle adibito per tutte le tipologie di felini, da quelli più socievoli a quelli più scontrosi, attrezzati di uscite di sicurezza, porte di collegamento, vetrine con vista, tronchi tiragraffi, scalette a pioli, giochi e angoli di relax di indiscutibile piacevolezza.
Insomma fra noi elettrizzati per la vacanza a Lecce e Miciù, Luna e Chat Noir destinati ad un soggiorno ad Arcaland, davvero non so chi ritenere più fortunato.
Un unico dubbio: e se poi non volessero più tornare nel nostro angusto appartamento di città?
…
Ammontano a una quarantina di milioni di euro, tra cui una piccola abitazione affacciata sul lago di Como – un edificio di misura ridotta sulla sponda di fronte a quella dell’attore George Clooney – ma anche le quote societarie e il patrimonio aziendale della società «Construenda» di Capiago Intimiano, i beni sequestrati dalla polizia all’imprenditore Giuseppe Felaco, ritenuto un esponente di primo piano del clan camorristico Polverino, della zona di Marano, comune a nord di Napoli.
Il provvedimento è stato eseguito dalla polizia di Giugliano, in Campania: si tratta di una misura di prevenzione emessa dal Tribunale di Napoli, presieduto da Carlo Alemi, che ha portato al sequestro anche di altre abitazioni e terreni in Campania e di due conti correnti. Giuseppe Felaco, soprannominato Peppe Nazzaro, attivo nel settore dell’edilizia, risulta legato al boss Angelo Nuvoletta, attualmente detenuto in quanto mandante dell’omicidio del giornalista Giancarlo Siani.
Di recente è stato condannato a tre anni e sei mesi di reclusione per associazione camorristica in quanto «organicamente inserito nel clan Nuvoletta». Al momento non sono chiari i motivi della sua presenza nel territorio comasco, e i legami con le proprietà societarie e immobiliari individuate dalla polizia. La casa posta sotto sigilli a Faggetto risulta essere di piccole dimensioni, ma in posizione appartata e affacciata direttamente sul lago.
Felaco ha precedenti per associazione mafiosa, violazione della legge sugli stupefacenti, ricettazione, furto, falso ed emissione di assegni a vuoto. Per conto del clan, avrebbe investito – in particolare nell’attività edilizia – i proventi dei traffici di droga, armi e delle estorsioni, seguendo uno schema ormai diffuso e consolidato all’interno delle associazioni di stampo mafioso. Felaco, negli anni, si è rivelato una presenza intermittente sul territorio italiano: dopo essere stato a lungo latitante, fu catturato a Santa Cruz di Tenerife nel 2004, e successivamente estradato in Italia.
…
da Villa sul lago di Como Beni sequestrati per 40 milioni a un imprenditore – Il Giorno – Como.
video su Youtube
https://www.youtube.com/results?search_query=Locarno+%E2%80%93+Domodossola%2C+attraverso+Centovalli
GIORNATA DELLA MEMORIA
Comune di Brunate, Biblioteca comunale
sabato 29 gennaio 2011
alle ore 17.00
presso l’auditorium
la bilbioteca comunale propone:
L’albero di Anne di Irène Cohen-Janca, 2010
Diario di Anna Frank

Adattamento del testo e regia di Marco Ballerini
recitano: Elisa Sciré e Marco Ballerini
TartaRugosa ha letto e scritto di:
Peter Mayle (1989)
Un anno in Provenza, EDT Edizioni di Torino
Traduzione di Enrica Castellani

C’è qualcosa di magico in questa regione posta al sud della Francia. Il ricordo risale al giugno di tanti anni fa, in un periodo buio e triste fatto di dolore e sconfitta.
Visitare in quel periodo la Provenza è stata una delle esperienze più intense provate a dispetto del malessere dell’anima.
Probabilmente grazie ai colori, ai profumi, al clima secco e ventoso, alla luce intensa e calda. Una vertigine di viola di sconfinati campi di lavanda, di rosso di papaveri capolineggianti in ogni dove, di giallo di girasoli impazziti di luce, di verde di cipressi e di vigneti gonfi di grappoli ancora acerbi …
Lo stesso fascino provato davanti a tele di grandi artisti, che in Provenza hanno saputo trovare, leggere e interpretare impressioni seducenti e fascinose. Van Gogh, Picasso, Cézanne, Gauguin, Nina Simone. Nella diversità delle loro storie, il tratto comune dell’essere attraversati da un luogo che parla ai geni creativi un linguaggio tutto suo.
E in questo tempo d’estate è bello rivisitare la campagna provenzale, oltre che con la memoria, con il diario di una simpatica coppia inglese che decide di trasferirsi in questo angolo di mondo, narrando avventure e disavventure capitate durante il loro insediamento.
Dalle pagine emergono tutti i tratti forti di caratteri e temperamenti che hanno dovuto adattarsi – e la natura a loro – alle intemperanze della campagna battuta dal vento, al rapido cambio delle temperature, al sole e al clima secco del periodo estivo.
“Provenza … tutto qui è talmente sanguigno! Le temperature vanno da oltre trenta gradi a venti sotto zero, raggiungendo perciò massimi livelli opposti. La pioggia, quando arriva, cade con tale violenza da far sprofondare le strade e chiudere le autostrade. Il Mistral è un vento brutale ed estenuante, terribile d’inverno, aspro e secco l’estate. Il cibo è violento e le erbe profumate sono in grado di provocare un’indigestione in persone abituate a una dieta più tranquilla. Il vino giovane inganna, perché invita a bere, ma spesso ha una gradazione alcolica più forte di quello vecchio, al quale ci si avvicina con maggior cautela.”
C’è poi da aggiungere la condivisione di un’esperienza analoga alla mia: il cittadino che si improvvisa campagnolo e la scoperta della genuinità della comunità locale. Tante righe mi suscitano il sorriso perché le vicende descritte molto assomigliano alle mie, impegnata in estate a rispondere alle più disparate esigenze della vecchia casa che mi ospita e a riscoprire il valore di un gesto, di una parola, di uno sguardo, da chi, diversamente da te, sa come affrontare incidenti di casa e di campo con maggior avvedutezza e spirito di iniziativa.
“Il vicinato … assume in campagna un’importanza che non ha in città. … In campagna, lontani dalla casa più prossima magari mezzo chilometro, i vostri vicini fanno parte della vostra vita e voi della loro. Se vi capita di essere stranieri con un tocco di esotismo, siete osservati con più interesse del solito. Se poi, per di più avete occupato un podere agricolo di vecchia data, vi renderete subito conto che i vostri atteggiamenti e le vostre decisioni hanno una precisa ripercussione sul benessere di un’altra famiglia”.
“Quando due uomini si ritrovano, il meno che fanno è darsi una stretta di mano; ma se hanno le mani occupate, vi tenderanno almeno il mignolo da afferrare e, se sono sporche o bagnate, vi offriranno l’avambraccio o il gomito. … Ma un’amicizia più stretta richiede maggiori dimostrazioni d’affetto. … si afferravano per le spalle, si davano manate sulla schiena, pugni sulle reni, pizzicotti alle guance. Quando un Provenzale è proprio contento di vederti, non è raro il caso che tu esca dalle sue grinfie con qualche graffio, anche se di poco conto. … Terminati i primi convenevoli, può iniziare la conversazione. Si posano le sporte per la spesa o i pacchetti, si legano i cani alla gamba del tavolo, si appoggiano le bici o gli attrezzi al muro più vicino: tutte cose necessarie, perché, per ogni seria e soddisfacente chiacchierata, le due mani devono essere pronte a fornire una sottolineatura visibile, a concludere opinioni non ben definite, a rafforzare il discorso o semplicemente a ornare un discorso che, col semplice moto delle labbra, per i Provenzali non è sufficientemente corposo”.
La dimensione del tempo, in campagna, è diversa da quella di città. Non che la vita sia meno faticosa, tutt’altro. E’ proprio una questione di ritmo: salvo rare eccezioni, nulla è così urgente da non poter attendere il suo giusto momento. Il rapporto con l’artigiano, qualsiasi sia la sua specializzazione, è ciò che meglio rappresenta questo concetto:
“Avevamo capito che il tempo, in Provenza, è molto elastico, anche se esattamente definito: un petit quart d’heure significa primo o poi nella giornata; demain, primo o poi nella settimana; il lasso di tempo più elastico di tutti era une quinzaine, che può voler dire tre settimane, due mesi o anche l’anno prossimo, ma mai, in nessun modo, quindici giorni”.
Il contatto con la natura, il desiderio di un rapporto più prossimo al paesaggio, la riscoperta di sapori naturali, innesca anche nuove dinamiche con chi ti sta attorno in città e con il quale hai voglia di apprezzare la gioia campestre, salvo affollamenti non previsti …
“… i Londinesi cominciarono a far progetti per le ferie ed era strano come tanti di tali progetti comprendessero la Provenza… Con crescente regolarità cominciò a squillare il telefono … Prima di tutto ci chiedevano se rimanevamo a casa per Pasqua, o nel mese di maggio, o per il periodo che andava bene per loro.. … Era difficile sentirsi lusingati da tale improvviso entusiasmo al pensiero di vederci , da noi ignorato finché eravamo in Inghilterra … Raccontavamo ad altri venuti ad abitare in Provenza che eravamo minacciati di invasione: tutti erano passati attraverso la stessa esperienza. Dopo si impara a dir di no.
… Il maggior problema, quando ce ne rendemmo conto, dipendeva dal fatto che i nostri ospiti erano in vacanza, e noi no. Ci alzavamo alle sette, mentre loro stavano a letto fino alle dieci o alle undici, terminando a volte la colazione giusto in tempo per fare una nuotatina prima di pranzo. Noi lavoravamo mentre loro prendevano il sole. Ristorati da un pisolino pomeridiano, emergevano la sera, dandosi alla vita sociale, mentre noi ci addormentavamo sull’insalata. Mia moglie, che aveva un istinto innato per l’ospitalità e temeva che gli ospiti non mangiassero a sufficienza, passava ore in cucina, e a tarda notte ancora eravamo occupati a lavare piatti”.
D’estate forse non ci si bada più di tanto, ma nelle incursioni invernali presso case del vicinato o spiando negli orti autunnali, si scopre che d’inverno, quando il lavoro della terra è meno assillante, molta attenzione viene dedicata al cibo
“La cucina invernale, in Provenza, è fatta di specialità contadine, preparate per penetrarvi nelle ossa, per darvi calorie e forza, e spedirvi a letto a pancia piena. Non è un cibo elegante, al modo in cui lo sono le vivande artisticamente presentate nei ristoranti … ma non c’è niente di meglio, in una notte gelida, quando il Mistral vi assale a rasoiate. …Una, anzi tre, pizze fatte in casa … tre paté: di coniglio, di cinghiale e di tordo … una terrine di proporzioni gigantesche a base di maiale e marc … saucissons costellati di grani di pepe, cipolline dolci in salsa di pomodoro fresco … fettine di magret … interi tronchi, intere zampe coperti di un sugo di santoreggia, con un contorno di funghi selvatici. … e poi l’insalata verde con dadini di pane fritto in aglio e olio di oliva .. dolce di pasta di mandorle e panna”.
Celebrare con la buona tavola, in fondo, è il modo migliore per fare bilanci con la fatica di piegare la terra ai tuoi voleri, poiché non c’è momento in cui ci si possa davvero rilassare di fronte alle proprie opere di coltivatori: “In ognuno dei mesi precedenti aveva espresso la stessa minacciosa osservazione a proposito del tempo, con tono rassegnato e lamentoso dei contadini di tutto il mondo, quando vi parlano del duro lavoro richiesto per ricavare il sostentamento dalle fatiche dei campi. Le condizioni non sono mai favorevoli: pioggia, vento, sole, erbacce, parassiti, governo, c’è sempre qualcosa che non va, ed essi mostrano un perverso piacere nel loro pessimismo”.
Il tempo della nuova vita, per la coppia inglese, ridefinisce la percezione e la durata delle stagioni: “No, non ci annoiavamo, non ne avevamo il tempo. Ogni giorno trovavamo qualcosa d’interessante e divertente nella vita da contadini; inoltre ci divertivamo ai graduali cambiamenti della casa, per adattarla al nostro modo di vivere. C’era da progettare il giardino e decidere che cosa piantarvi. C’era il campo delle boules da costruire, da impratichirsi con la nuova lingua, da scoprire paesi, vigne e mercati … I giorni correvano già abbastanza veloci così, senza altre distrazioni, e ce n’erano tante di queste”.
Insomma, tanti e divertenti sono gli aneddoti e le descrizioni che si rincorrono nel testo. Una lettura estiva che allieta in forma leggera un pomeriggio di languido ozio, in cui il libro che tieni in mano può ripiegarsi sul petto in attesa che gli occhi si riaprino e riprendano la lettura interrotta.
Succedeva qualche settimana fa, in una tarda e fredda mattina mentre camminavamo sul lungolago.
La bellezza annidata in un’ansa: 22 cigni.
Alcuni veleggiano con la sicurezza della loro eleganza fra i riflessi del sole e altri, sulla battigia, sono intenti nella minuziosa pulizia di zampe ed ali e untamento (questa parola è rubata a Carlo Emilio Gadda) delle piume.
Si mescolano silenziosi i candidi adulti e i curiosi novellotti, le cui striature grigiastre rammentano il loro non lontano ingresso nel mondo.
I passanti, anche se frettolosi, volgono loro di striscio lo sguardo, qualche madre indugia trattenuta dal bambino che tiene per mano e che punta l’indice con esclamazioni di gioia.
Una clocharde sminuzza il suo pane, circondata da quella nuvola bianca impegnata ad afferrare i brandelli.
Per imitazione e per assecondare il ciclo della nutrizione entro in un bar e ne esco con qualche brioche e faccio gli stessi gesti, attento a ben distribuire i bocconi.
I cigni vengono e vanno e, infine, tuffano nel biancore il lungo collo e si cullano nel sonno.
Viviamo in un luogo di straordinaria geografia, cui fa da contrappeso una più modesta antropologia.














L’esuberanza e la passionalità del rosso-oro lentamente perdono intensità per abbandonarsi alla tonalità più morbida e rassicurante del colore marrone.
E’ questo il colore che mi induce all’introspezione, alla regressione.

Forse perché la terra nuda è di questa tinta, quella stessa terra che elargisce e raccoglie, dispensatrice di vita e depositaria di ciò che vita non è più.

C’è ancora spazio per gettare i semi di spinacio ed interrare i bulbi di tulipano, mentre il resto dell’orto deve essere spogliato dagli avanzi delle piantagioni estive, affinchè il terreno possa ricevere il nutrimento appropriato per ributtare generosamente nel prossimo ciclo riproduttivo.


Il marrone aranciato tinge anche gli ultimi frutti della stagione, già preludio dell’intimo piacere di rompere il guscio di noci e nocciole al crepitio di un ciocco di legno che brucia e dello smuovere la paglia per verificare, al tatto, l’avvenuta maturazione di nespole e kiwi.







E’ tempo di tagliar legna per rinnovare il magico momento dispiare il fuoco ardente dal portellone del forno, grembo accogliente per indorare la pasta della pizza o avvizzire la buccia delle mele renette.


I raggi obliqui del sole giocano con le ombre e le volute del fumo che sbuffano dal camino. C’è silenzio nell’aria. Tra breve le sedie della terrazza dovranno essere riposte in casa per il letargo invernale.





