Riecheggiano
cinguettii imperiosi
dai nidi canterini.
Ore sei del mattino.
Primavera.
Riecheggiano
cinguettii imperiosi
dai nidi canterini.
Ore sei del mattino.
Primavera.
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Davide Van De Sfroos è il nome d’arte di Davide Bernasconi, musicista lombardo noto per le sue canzoni in dialetto tremezzino, detto anche “laghée”, diffuso sulle sponde del lago di Como. Moltissimi testi delle sue canzoni fanno capo al lago, alle sue storie e ai suoi personaggi caratteristici, spesso divertenti e strampalati, ma sempre ricchi di umanità. Questo saggio ricostruisce trent’anni di produzione artistica, valorizzando l’originale e mai banale riflessione di Van De Sfroos sui grandi temi dell’esistenza umana, visti con le lenti del microcosmo “laghée” e con il sano disincanto di chi non si considera un maestro, ma un compagno di strada che ama raccontare storie con la chitarra al collo.
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Se esiste un filo che lega le poesie e le prose uscite dalla penna di Alda Merini, e raccolte in questo volume, è un filo intessuto di follia e verità, di amore e corpo, che avvolge il buio dell’esistenza. I versi più indimenticabili e gli incipit più riusciti della poetessa dei Navigli paiono infatti scritti nella notte più profonda, spremendo l’oscurità per ricavarne lampi di luce. Questa antologia originale e preziosa è un omaggio al talento inarginabile dell’autrice e insieme un viatico per i lettori che ancora non la conoscono. Tra le sue pagine scopriamo un ritratto inedito di Alda Merini attraverso i suoi testi più noti e altri dimenticati: dalle poesie di Un’anima indocile, La volpe e il sipario e Le madri non cercano il paradiso agli aforismi di Nuove magie e Colpe di immagini senza dimenticare la prosa, con Lettere a un…
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Talvolta accade.
Si percepisce la voglia di vivere.
La senti, per un attimo, sfiorarti
come una brezza, un fresco refolo.
E’ un momento inafferrabile,
ammaliante.
E’ un incantesimo fatto di nulla:
una musica, il sole sulla pelle,
un caldo abbraccio, un sorriso.
Ci può essere della gioia
nel ritrovarsi vivi.
Talvolta.
da:
Myricae/Il cuore del cipresso – Wikisource
O cipresso, che solo e nero stacchi
dal vitreo cielo, sopra lo sterpeto
irto di cardi e stridulo di biacchi:in te sovente, al tempo delle more,
odono i bimbi un pispillìo secreto,
come d’un nido che ti sogni in cuore.L’ultima cova. Tu canti sommesso
mentre s’allunga l’ombra taciturna
nel tristo campo: quasi, ermo cipresso,
ella ricerchi tra què bronchi un’urna.Più brevi i giorni,
e l’ombra ogni dì meno
s’indugia e cerca, irrequieta, al sole;
e il sole è freddo e pallido il sereno.L’ombra, ogni sera prima, entra nell’ombra:
nell’ombra ove le stelle errano sole.
E il rovo arrossa e con le spine ingombratutti i sentieri, e cadono già roggie
le foglie intorno (indifferente oscilla
l’ermo cipresso), e già le prime pioggie
fischiano, ed il libeccio ulula e squilla.E il tuo nido? Il tuo nido?… Ulula forte
il vento e t’urta e ti percuote a lungo:
tu sorgi, e resti; simile alla Morte.E il tuo cuore? Il tuo cuore?… Orrida trebbia
l’acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo,
di nebbia nera tra la grigia nebbia.E il tuo sogno? La terra ecco scompare:
la neve, muta a guisa del pensiero,
cade. Tra il bianco e tacito franare
tu stai, gigante immobilmente nero.
Poesie d’Autore – da PensieriParole.it <https://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/>
da
A un gatto | Iuncturae
C’è una vertigine della quiete
nella tua indifferenza.
Con occhi d’agata screziata
fissi il pulviscolo di luce..
Il tuo silenzio è una lavagna
di eleganti geroglifici.
Se carezzo il tuo velluto
sei tu a guidare la mia mano..
Te ne stai, privo di pensieri,
nel giardino senza tempo
dove germogliano i pensieri..
Raccolto in te, il mondo sprofonda
senza rumore in una sua bianca,
fluttuante inesistenza.
Si è fermata l’ora,
sospesa fra i rami dorati.
Nel silenzio infranto
un’ombra zampetta
fra scaglie di luce
nel rame brunito
di foglie cadute.
Volta il musetto
il mite scoiattolo.
Per un solo attimo,
i suoi occhi, neri e rotondi,
annegano nei miei.
Goccia di tenerezza
rende dolce la giornata
e rallegra l’anima.
(Foto di Carlabazar)
Catturano l’ultimo tepore
scordato da un’estate distratta.
E’ l’orologio delle ombre
che avverte le sagge tartarughe.
Lentamente si affrettano
a terminare lo scavo
nella nera terra,
più friabile dopo la pioggia.
Le notti ora sono fresche,
nel meriggio compaiono, a tratti,
con un cammino indolente e svogliato.
Sfuggono ai tempi bui e cupi, le sagge,
sanno che il vero riparo
sta dalla parte delle radici.
Lì s’inabisseranno,
in attesa dell’eterno ritorno.
Sono tornata.
Ad ingrigire il mondo
(e le vostre vite)
col mio umido mantello.
E voi miseri fuggite,
nascondendovi spauriti
mentre gli stolti e i coraggiosi,
sotto le mie carezze,
ballano liberi e felici.
E scivolo sulle lucide chiome
lasciando brividi di piacere.
E poso limpidi specchi a terra
per duplicare il mondo.
E chi non mi ama
vede solo pozze di lacrime.
Chiacchierano le foglie sotto i passi.
Iniziano ad arrossire
le bacche dell’agrifoglio
e si fanno scarlatte le lucide bucce
dei tondi melograni.
Nell’ultimo obliquo riflesso
che incendia il lago,
si ode lo sciabordio dei remi,
una barca scivola lieve,
il pescatore attende, paziente.
Dal bosco l’eco remota della motosega
si fa crepitio di ciocchi secchi.
Lingue ipnotiche di fiamme
illuminano il camino,
riscaldano e inducono sogni.
Affondano i piedi
nello spugnoso tappeto muscoso
degli umbratili gradini;
un nido vuoto è caduto,
disfatto dalla pioggia insistente.
Piange il cielo,
si congeda dal giorno che muore.
Il soffio del vento tra i rami nudi
traccia invisibili sentieri di seta
per il vagabondo rumore della malinconia.
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