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TartaRugosa ha letto e scritto di:
Pierre Bayard (2012)
Come parlare di luoghi senza esserci mai stati
Traduzione di Riccardo Bentsik
Excelsior 1881, Milano
Ecco un motto molto accattivante : “Il miglior modo per parlare di un posto è di restarsene a casa”, che – per una tartaruga – calza alla perfezione.
Di nuovo Bayard, già incontrato con “Come parlare di un libro senza averlo mai letto”, che questa volta ci prova con i luoghi, dimostrando che l’ignoranza rispetto ad un argomento non sempre è un ostacolo per poterne parlare con competenza e che molti scrittori e pensatori preferiscono restare al proprio scrittoio piuttosto che affrontare i posti di cui desiderano parlare.
Fra i molti citati, ne scelgo alcuni.
Chi non conosce, almeno di nome, Marco Polo che, dopo aver soggiornato diciassette anni in Cina, scrive con dovizia e rigore dettagliate informazioni sulla vita quotidiana che…
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Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
GIACOMO LEOPARDI (1798-1837)
mi scrive Vincenzo:
E’ bello in siffatte giornate iniziare il giorno con prospettive lariare così belle accompagnate dai versi infiniti dell’Infinito leopardiano. Grazie Paolo!
Rispondo
ieri ero nel giardino di Coatesa e ho “colto l’attimo” di quel paesaggio. e mi è venuto in mente di collegarlo alla “siepe” di Leopardi. Avevo qualche dubbio di oltraggiare la memoria di un classico. Ma tu che sei un grandissimo studioso di Leopardi mi sostieni in questa mia connessione. TI RINGRAZIO TANTISSIMO. Ciao Vincenzo !!!
TartaRugosa ha letto e scritto di Georges Perec (1974) “Specie di spazi”, traduzione di Roberta Delbono, Bollati Boringhieri
TartaRugosa ha letto e scritto di Georges Perec (1974) “Specie di spazi”, traduzione di Roberta Delbono, Bollati Boringhieri – TartaRugosa
QUI LETTA IN MODO MAGISTRALE DA DOMENICO PELINI
I
Era impossibile da immaginare, impossibile
da non immaginare; la sua azzurrezza, l’ombra che lasciava,
che cadeva, riempiva l’oscurità del proprio freddo,
il suo freddo che cadeva fuori da se stesso, fuori da qualsiasi idea
di se’ descrivesse nel cadere; un qualcosa, una minuzia,
una macchia, un punto, un punto in un punto, un abisso infinito
di minuzia; una canzone, ma meno di una canzone, qualcosa che
affoga in se’, qualcosa che va, un’alluvione di suono, ma meno
di un suono; la sua fine, il suo vuoto,
il suo tenero, piccolo vuoto che colma la sua eco, e cade,
e si alza, inavvertito, e cade ancora, e cosi’ sempre,
e sempre perche’, e solo perche’, essendo stato, era…
II
Era l’inizio di una sedia;
era il divano grigio; era i muri,
il giardino, la strada di ghiaia; era il modo in cui
i ruderi di luna le crollavano sulla chioma.
Era quello, ed era altro ancora; era il vento che azzannava
gli alberi; era la congerie confusa di nubi, la bava
di stelle sulla riva. Era l’ora che pareva dire
che se sapevi in che punto esatto del tempo si era, non avresti
mai piu’ chiesto nulla. Era quello. Senz’altro era quello.
Era anche l’evento mai avvenuto – un momento tanto pieno
che quando se ne ando’, come doveva, nessun dolore riusciva
a contenerlo. Era la stanza che pareva la stessa
dopo tanti anni. Era quello. Era il cappello
dimenticato da lei, la penna che lei lascio’ sul tavolo.
Era il sole sulla mia mano. Era il caldo del sole. Era come
sedevo, come attendevo per ore, per giorni. Era quello. Solo quello.
(da Mark Strand: “Blizzard of One” – 1998, traduzione di Damiano Abeni, ora in “West of your cities” – a cura di M. Strand e D. Abeni – Minimum fax – Roma 2003)
qui letta con ben altra bravura ed intensità da DOMENICO PELINI
TartaRugosa ha letto e scritto di:
Georges Perec (2011)
Il progetto avrebbe dovuto durare dodici anni, ma non si concluse.
L’idea, secondo Perec, era di osservare piazza Saint-Sulpice in diversi momenti della giornata e di prendere nota di tutto quello che vedeva.
O meglio “…quello che generalmente non si nota, quello che non si osserva, quello che non ha importanza: quello che succede quando non succede nulla, se non lo scorrere del tempo, delle persone, delle auto e delle nuvole”.
Il tentativo dura tre giorni.
Questa idea è entusiasmante. Finalmente un punto di connessione tra uomo e rettile.
Anch’io passo lunghe ore ad osservare ciò che accade, ma, a differenza di Perec, il tentativo non si esaurisce in tre giorni. Per me dura almeno sei mesi all’anno.
Alterno le visioni di Georges con le mie.
Place Saint-Sulpice
6° Arrondissement, Parigi
18, 19, 20 ottobre 1974
Largo del Ciliegio
Alla sommità della prima proda dell’orto
La prima settimana di primavera 2012
18 ottobre
Patate all’ingrosso
Da un pullman di turisti un giapponese sembra che mi faccia una fotografia. Un anziano signore con la sua mezza baguette, una signora con un pacchetto di dolci a forma di piccola piramide
L’86 va a Saint-Mandé (non gira in Rue Bonaparte, ma prende Rue di Vieux-Colombier)
Il 63 va a Porte dela Muette
21 marzo
Foglie secche
Formiche indaffarate raccolgono briciole
Sul tavolino sotto il ciliegio siedono un uomo e una donna
Zampe bianche e nere
Un miagolio e un lembo di bresaola cade vicino al gatto
Un merlo scava nella terra smossa
Alcuni inciampano. Microincidenti.
Un 96 passa. Un 70 passa.
E’ l’una e venti
Ritorno (probabile) di persone già viste: un ragazzo con un giaccone blu marina che porta in mano una busta di plastica passa di nuovo davanti al caffè
Un 86 passa. Un 86 passa. Un 63 passa.
Il caffè è pieno
Un bambino fa correre il suo cane (tipo Milou) sullo sterrato
E’ l’una e trenta
Sulla sedia sono appoggiati un gilet di panno rosso e un maglione (di cotone) turchese. Penzolano anche un paio di calzettoni (di lana) a righe colorate.
C’è il sole.
Il ciliegio inizia a fiorire.
Zampe marroni. Un piccolo ragno si arrampica sul telo che copre la proda dell’orto
Una buccia di mela golden e un torsolo di pera kaiser. Per me.
Striscia un verme rosa. Probabilmente un lombrico.
Il vento fa muovere le foglie degli alberi
Un 70.
Sono le tredici e cinquanta.
Trasporti SNCF
Le persone del funerale sono entrate nella chiesa
Sono le due e quaranta. Un uomo con il secchio pieno di terra.
Una donna che scopa la piattaforma di pietra e raccoglie le foglie.
Un gatto che dorme con il muso appoggiato fra le zampe anteriori.
Due formiche si contendono una briciola.
Cinguettii di pettirosso che arrivano da lontano.
Calore del sole alto in mezzo al cielo. Sonnecchio.
Ho visto ancora autobus, taxi, auto private, pullman turistici, camion e camioncini, biciclette, motorini, vespe, moto, un triciclo delle poste, una moto-scuola, un’auto-scuola, donne eleganti, vecchi belli, vecchie coppie, gruppi di bambini, persone con borse, con borselli, con valige, con cani, con pipe, con ombrelli, con la pancia, vecchie rugose, vecchi cretini, giovani cretini, dei bighelloni, dei fattorini, degli imbronciati, dei chiacchieroni.
Ritorna l’uomo con un altro secchio pieno di terra.
Passano, in ordine di apparizione, formiche, moscerini, una larva che fuoriesce dalla terra, un merlo che cerca la larva.
Mi sposto di circa dieci centimetri per gustare la buccia della mela.
Ritorna l’uomo con un secchio pieno di terra. E’ il terzo giro.
La donna si riposa sulla sedia e scrive su un grosso quaderno.
Il gatto se n’è andato all’ombra.
19 ottobre
Molte cose non sono cambiate, apparentemente non si sono mosse (le lettere, i simboli, la fontana, lo sterrato, le panchine, la chiesa, ecc.); io stesso mi sono seduto alla stessa tavola.
24 marzo
Sempre sotto il ciliegio, ma sulla pietra.
Una vanga, un rastrello, un secchio di plastica di colore rosso.
Teli di plastica grigia sulle prode.
Dalle pietre spuntano ciuffi di erba. Passano le solite formiche, ma non ci sono più le briciole.
Una donna sposta vasi di cotto con dentro alcune piante grasse.
Un cumulo di erba sradicata.
Ieri, c’era sul marciapiede, proprio davanti al mio tavolino, un biglietto della metropolitana; oggi, ma non è detto che sia nello stesso posto, c’è l’involucro di una caramella (cellophane) e un pezzo di carta difficilmente riconoscibile (più o meno grande come una scatola di “Parisiennes” ma di un blu molto più chiaro).
Sotto il tavolino tre pigne, una scatola contenente concime. Fito Universale. Liquido. Una lucertola senza coda.
Sono le tre. Il cielo è sereno e il sole caldo.
Sul tavolino una macchina fotografica, una bottiglia da 50 ml di plastica. Vuota.
I piccioni sono quasi immobili. E’ piuttosto difficile contarli (200 forse); parecchi sono accovacciati, le zampe ripiegate. E’ l’ora delle pulizie (con il becco, si spulciano il gozzo e le ali); alcuni sono appollaiati sul bordo della terza vasca della fontana. Alcuni persone escono dalla chiesa.
Due gatti sono distesi a 30 cm di distanza. Uno si lecca le zampe. L’altra si passa la zampa destra dietro l’orecchio destro.
Uno sbadiglia. L’altra punta una lucertola con la coda.
E ancora: perché due suore sono più interessanti di due altri passanti qualsiasi?
Dove sono finiti l’uomo e la donna che lavorano la terra?
Un pullman. Giapponesi.
Alcuni individui si riuniscono davanti a Saint-Sulpice.
Intravedo in alto sulle scale un uomo che scopa (è il sagrestano?).
Passa un uomo con un barattolo di Ripolin
Persone persone automobili
Una anziana signora con un bel soprabito impermeabile tipo Sherlock Holmes
La folla è compatta, non c’è quasi più un attimo di calma
Arriva una donna con un contenitore di plastica verde.
Lo vuota.
Bucce di arancia, foglie di carciofi, gambi di insalata. Foglie marce di catalogna. Bucce di patate. Buccia annerita di banana.
Buccia di mela Golden con torsolo annesso. Per me. (Finalmente)
Arriva un uomo con il solito secchio pieno di terra. A questo punto ho perso il conto dei viaggi.
20 ottobre
Passa una signora elegante che tiene, con gli steli in alto, un grande mazzo di fiori.
Passa un 63
Passa una ragazzina che porta due grandi sacchetti della spesa
Un uccello viene a posarsi in cima a un lampione
E’ mezzogiorno
Temporale
Passa un 63
25 marzo
Sul corridoio che porta verso l’orto.
Sono le tredici. In realtà sarebbe mezzogiorno.
Nuvoloso. Sole nascosto e aria un po’ fredda.
Rosmarino. Cespuglio di rose. Lavanda potata. Rosmarino. Cespuglio di rose.
Piccola montagnetta.
Ciuffi di erba. Foglie di tarassaco. Buone.
Progetto di una classificazione di ombrelli secondo le loro forme, i loro modi di funzionare, i loro colori, i loro materiali …
Da una sporta escono delle verdure
Passa un 96
Progetto di lauto pranzo per il mese prossimo: trifoglio, fiori di tarassaco, foglie di malva.
Magari ci scappa qualche lumachetta.
Il vento fa cadere la pioggia che si era accumulata sulla tenda del caffè: scrosci d’acqua
Il cielo è nuvoloso. Scende qualche goccia sparsa.
Forse è giorno di doccia.
Zampe bianche e nere mi sorpassano.
Ha già smesso di piovere.
Un uomo con il braccio sinistro ingessato
Un 63 che eccezionalmente si ferma all’angolo di rue des Canettes per far scendere una coppia di persone anziane
Un taxi DS di colore verde
Sono le diciassette.
E’ tornato il sole.
Un uomo e una donna camminano in fila indiana.
Si fermano davanti al pero. Guardano i fiori bianchi.
Alcune formiche. Due lucertole. Una canna dell’acqua. Tre innaffiatoi.
Il 63
Sono le due meno cinque
I piccioni sono sullo sterrato. Si alzano in volo tutti insieme.
Quattro bambini. Un cane. Un piccolo raggio di sole. Il 96. Sono le due
Sono le diciotto. Sarebbero le diciassette.
Profumo di rosmarino. Un uomo e una donna scendono le scale. Una gatta li segue.
Il ciliegio è tutto fiorito.
E’ ora di andare a dormire. Due lucertole mi tagliano la strada.
L’aria è calda. E’ stata una bella giornata.
Il concetto di “esaurimento di un luogo” è una suggestione di estremo interesse cognitivo e sociale del letterato/sociologo francese Georges Perec (1936-1982)
Splendido è : Georges Perec, TENTATIVO DI ESAURIMENTO DI UN LUOGO PARIGINO (1975), a cura di Alberto Lecaldano, Libri Piccoli Voland, 2011
Como, Piazza San Fedele, 17 marzo 2012, ore 13
Il sole illumina la facciata e il campanile nascosto dalla casa col porticato.
A quest’ora il sole ha già fatto il suo giro parziale della giornata e da questa parte c’è ombra.
L’osservatorio è ampio.
Da sinistra: Trombetta foulard; una vetrina senza insegne evidenti; Moglia abbigliamento; un portone di legno marrone; negozio Vodafone; sulla facciata del porticato: “Piazza del mercato del grano”; “Piazza San Fedele”; sotto il porticato un altro negozio di abbigliamento con saldi al 50%. Facendo girare lo sguardo in senso orario, poi, la piazza si allarga fino ad arrivare alla facciata ed al portale della chiesa. Dopo ancora negozi: Daniela Vecchi; Cherie; abbigliamento And … And; quattro vetrine del Verga accessori cucina; l’inizio della Via Odescalchi e della Via Natta. Sopra quest’ultima una casa con la facciata medievale in mattoni in cotto. Di lato l’altro bar/tabaccheria e il porticato che corre alle mie spalle.
Due piccioni mangiano le briciole che ho loro gettato. Poco dopo arrivano due passerotti che becchettano quello che resta.
I tavolini da 4 persone che si sporgono sulla piazza sono 17. Ma dietro ce ne sono altri, sotto al portico.
Se dovessi contare le finestre, i balconi, i portoni, i vasi potrei “esaurire” la parte statica della piazza.
Per la parte dinamica oggi registro solo questo. Prima passa un’auto di ordinanza del carabinieri, con due persone a bordo. Si ferma un attimo e poi se ne va lentamente. Poi passa un’auto della finanza, con tre persone a bordo con gli occhiali neri. Non posso fare a meno di associarli alle guardie del corpo del dittatore Doc Duvalier di Haiti.
Apro il Corriere di Como: “è caccia aperta all’uomo – probabilmente straniero – che nella notte fra sabato e domenica ha violentato una ventenne a Cantù”